NO FUTURE

 

5/02/2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo posto non lo sopporto più.

A cosa è servito che la popolazione mondiale fosse così drasticamente ridotta se poi vengono tutti ad ammucchiarsi qui?

E’ vero che questa parte del mondo fu la meno devastata dalla Catastrofe. 
Si dice che questa fosse già una grande città: Istanbul… però, mi chiedo perché le abbiano cambiato nome. Queste sono le tipiche idiosincrasie dei funzionari imperiali. Un’elite di grassoni che parla una lingua morta, e si crede la reincarnazione dei sapienti di Atene.

Tutti felici e riconoscenti, ecco come dovremmo essere.

 “ Di che vi lamentate? Siete cittadini di Omphalos ! ”.

Siamo polli in gabbia, sì.

Ammassati, soffocati, controllati.

Ma a questi deficienti degli Onfaloniani non importa nulla.

Sono una folla di succubi e di pavidi, terrorizzati dai proclami reboanti dell’Impero: “Non toccate questo: è radioattivo; non uscite mai dai confini della città: non è sicuro; se trovate una forma di vita sopravvissuta: consegnatela subito ai funzionari scientifici; date sempre le vostre coordinate per ragioni di sicurezza… così potremo proteggervi; votate sempre per dare la pagella all’amministrazione pubblica che, con i vostri preziosi consigli e suggerimenti, potrà migliorare e offrirvi servizi più soddisfacenti; ascoltate sempre il bollettino dell’Impero; osservate le vostre tavolette telematiche per almeno 6 ore al giorno: ci trovate lo svago, le informazioni, la sapienza, la compagnia di cui avete bisogno; se vi dovesse capitare tra le mani un testo precedente alla Catastrofe: consegnatelo immediatamente ai funzionari del patrimonio culturale; non dimenticate il motto dell’Impero: solidali si sopravvive...”

Mi viene il voltastomaco.

Gli Onfaloniani ronfano da quasi nove secoli, e qui non manchiamo certo di nulla…

di nulla salvo di una cosa: un giorno che sia diverso dal precedente.

 

 

 

 

FELIX INFELIX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mia laurea in “organismi acquatici e terrestri sopravvissuti ” non è stata del tutto inutile.

A parte gli scarafaggi, alcuni insetti poco attraenti e due specie tanto evolute quanto moleste di ratti non si vedono facilmente altre bestie ai giorni nostri.

Funzionari imperiali esclusi. Ah, Ah, Ah !

Polli, suini, bovini e o-vini (pochi e sobri) sono chiusi nelle grandi stazioni imperiali di allevamento e l’uomo della strada non ha neppure idea di come siano fatti esattamente.

Io che ho studiato lo so.

Stesso discorso vale per le piante.

Se si tratta di coltivazioni utili alla sopravvivenza sono massicciamente curate nelle serre imperiali, ma l’unico “albero” che la gente conosce è una specie di arbusto così spinoso (l’Arbatax) che provoca un disinteresse comprensibile, quando non una dichiarata ostilità.

Esistono in commercio tutta una serie di fiori sintetici, ma sono riproduzioni grossolane e scientificamente inesatte di specie estinte.

La “rosa azzurra di Omphalos” è molto reputata.

A questa autentica schifezza avrebbero potuto lasciare almeno qualche spina… forse però temevano che ricordasse ai delicati cittadini l’arbusto malefico di cui sopra.

Qualcuno ha tentato di riprodurre anche altre piante ma il fallimento è stato clamoroso, così questa non è diventata una florida industria. Anzi, non è sbocciata affatto.

Pare che un tempo fossero molto diffusi animali da compagnia come i canidi e i felini.

Procurarsene uno oggi è quasi impossibile. Se non hai almeno uno stipendio da funzionario alfa di secondo grado, s’intende.

Beh, voi potete anche non crederci ma… io possiedo un gato.

Dovrei piuttosto dire che è il contrario, ma soprassediamo.

Non navigo nell’oro, non faccio parte della casta, però la spiegazione di questa anomalia è semplice: la conoscenza dei canali giusti, grazie alla Regia Università Imperiale.

Infelix è gato grigio metallico; la coda è naturalmente assente; il cranio è rettilineo: caratterizzato da una fronte larga e arrotondata; ha un gigantesco occhio arancione fluorescente. Le orecchie sono molto sviluppate ed appuntite. Le zampe sottili e palmate.

Ne osservo quotidianamente il comportamento e lo annoto su un quadernetto. Vorrei farne una piccola pubblicazione per iniziati.

Spesso Infelix dorme.

Come gli Onfaloniani ! Ah, Ah, Ah !

Una scarica elettrica lo attraversa allora con piccoli movimenti nervosi e scattanti. Le lunghe vibrisse tremano, mentre un flebile suono arrotato e pietoso sfugge dalla bocca socchiusa.

Forse sogna la Catastrofe che si è depositata, memoria della specie, nei suoi poveri geni.

Improvvisamente, apre a metà il ciclopico occhio e mi fissa.

Se non trovo rapidamente qualche pillola verde di tipo K69 (sinonimo di classe 69 N.d.A.) da rifilargli mi caverà il respiro.

Dopo estenuanti spazzolate ai denti e navigate nella vasca da bagno, mi reclama ostinatamente con un sonoro vocalizzo: vuole salirmi sulla spalla, qualunque cosa stia facendo.

E’ incredibile come noi due ci si possa sopportare da tanti anni.

Immagino che anche lui abbia il suo felino “cahiers de doléances”.

Mi tocca aspettare che si addormenti appollaiato sul trespolo al quale mi ha ridotto (che vergogna!) per piazzarlo tosto sul suo cuscino, e tornare finalmente alle mie occupazioni.

Una vera schiavitù.

Ma non è questo l’amore?

 

 

 

QUARTIERI ALTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

— “Ah, è lei…”

Mi guarda sospettosa il distintivo sulla tuta, dalla striscia sottile della porta socchiusa.

Ma se ho superato i controlli, di che diavolo ha paura?

— “Venga avanti….” aggiunge voltandomi le spalle.

Proprio come me l’ero immaginata. La tipica moglie di un funzionario beta di seconda classe.

Bionda, snella, curata, in vestaglia di seta, l’aria annoiata e stanca.

Lo “spazio domestico” è lussuoso, ma senza esagerare.

Qui, al quartiere “Paradiso di Omphalos” sono tutti uguali. Pretenziosi e modulari.
Grandi mazzi di finte rose azzurre sui tavolini di vetro. Un gigantesco schermo sintonizzato su tele Impero 2.

Tutto è pulito, preciso, asettico.

— “Signorìa vostra, è sicura che si tratti di ratti ?” chiedo con un tono forse leggermente seccato.

Lei mi fissa come se fossi un insetto.

— “Ma certo. Non sono mica scema !”. La sua voce perde per un secondo il controllo. Poi, di nuovo calmissima: “Da quando in qua i derattizzatori fanno domande, invece di fare il loro lavoro?”

— “Veda” mi schiarisco la voce “è estremamente raro, per non dire unico, che mi chiamino nei quartieri alti… qui i ratti non ci vengono, di solito”.

— “Beh, si vede che si sono fatti più aggressivi e furbi… Venti pillole azzurre di classe 6 e ben quattro rosse addirittura di classe 3… come ho detto ai funzionari. Ma lei conosce il valore complessivo di tutta quella roba? Ovviamente, no !”.

— “Hum… facciamo 830 dinari circa, centesimo più centesimo meno?” dico distrattamente.

Per la prima volta lei si mostra sorpresa. Apre la bocca come per dire qualcosa ma la richiude subito. Mi guarda finalmente come se facessi vagamente parte della razza umana.

— “Mi può mostrare la cucina, Signorìa vostra ?”

Ha un’esitazione. Poi mi precede muovendo leggermente il fondoschiena nella sua vestaglia di seta. Io la seguo con il mio bidone e l’armamentario. Mi sento un pesce fuor d’acqua.

— “Vede… i barattoli erano qui, rovesciati… mancavano un sacco di pillole rosa. Il peggio è quando mi sono accorta che avevano aperto l’armadio di sicurezza con la mia password, e hanno rubato quel tesoro. E’ inaudito cosa riescano a fare queste bestiacce. Ma dove andremo a finire?...”

Io guardo perplesso. Qui non c’è traccia del passaggio dei topi. Neppure la razza più evoluta avrebbe potuto compiere un furto così perfetto. Digitare una password, poi. Roba da chiodi. La moglie del funzionario continua imperterrita a blaterare scemenze: “Pensavamo di comprarci un gato. Ma le trattative sono troppo lunghe e il prezzo è proibitivo. Ci abbiamo rinunciato mio marito Poldo ed io.”

Poldo? Ma come avrà fatto a diventare funzionario beta uno che si chiama Poldo?
— “Meglio così” replico fingendo di cercare delle piste “un gato non le servirebbe a niente…”

Lei è di nuovo scossa. Mi risponde indispettita: “E lei cosa ne sa? E’ solo un derattizzatore…”
— “Ho una laurea in “organismi acquatici e terrestri sopravvissuti” alla Regia Università di Omphalos…”

Quella sgrana gli occhi: “Eeeeh? E fa questo mestiere? Com’è possibile?”

— “Non ho voluto accettare alcuni compromessi… ma è inutile parlarne… lei non capirebbe, con tutto il rispetto. E poi… “ adesso le darò il colpo finale, penso “possiedo io stesso un gato. Si chiama Infelix. Mangia solo pillole verdi. Tipo K69. Mi costa un occhio della testa. Se vedesse un ratto ci farebbe amicizia, glielo assicuro…”.

Lei mi guarda come se mi fossi appena tolto le mutande: “Ma… ma… lei… è un semplice operaio di terzo livello… un gato… nello spazio domestico… suo??”

— “Sì, si chiama Infelix le ho già detto” rispondo, cercando la mia tavoletta telematica su cui ho una foto della bestiola sulla spalla.

— “Mi sta raccontando delle bugie… ora chiamo l’Amministrazione e verifico che lei sia veramente un derattizzatore… non si avvicini, ho paura!”

Le metto a forza sotto il naso la foto di Infelix, illudendomi che questo la calmi.
Lei fissa lo schermo con gli occhi rotondi dallo spavento.

Tutto quello che riesce a dire è: “Ma chi è lei, cosa vuole?”

 

 

 

KIKA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sto per perdere la pazienza.

Qualcosa però mi trattiene. La osservo con più attenzione, adesso che mi è tanto vicina.

Certo, la sua espressione terrorizzata mi irrita, eppure… non c’è nulla di volgare nei suoi grandi occhi, e questo la distingue dalle donne del quartiere “Paradiso”.

Anzi, il volto intero emana una certa fierezza e nobiltà, sotto la maschera deformante della paura.

Ne rimango un po’ sconcertato.

Faccio un profondo respiro, e con la voce più tranquilla e controllata possibile dico: “ Signorìa vostra, si calmi. La prego. Lei non sa quanti controlli vocali ho dovuto subire per entrare in questa “riserva per ricchi”. Mi è toccato fornire 4 volte le mie coordinate, ed esibire il mio cartellino di derattizzatore ogni volta che incrociavo un funzionario della sicurezza. Posso giurarle che ci sono più poliziotti qui che ratti nei quartieri poveri. Se mi scusa il paragone”.

— “Si, è scusato. Mi dispiace…. io non sapevo…”

— “Sarebbe bene invece saperle queste cose. Così, lei può anche chiamare questa fottuta amministrazione e spifferare che ho persino un gato a casa mia. Tutto quello che otterrà sarà che le confermeranno la mia identità, e che mi costringeranno a buttare via un pomeriggio in stupida burocrazia per dimostrare che ho la licenza in regola per l’animale. Perciò, non lo faccia.”

Lei annuisce. Sembra rassicurata. Tiro un sospiro di sollievo.

— “Quanto ai presunti ladri di pillole… parliamoci con franchezza, Signorìa vostra…”

— “Hum… hum…” risponde rapidissima lei, strizzando i grandi occhi.

— “Chi ha accesso alla dispensa, oltre… oltre suo marito… ?”

— “I domestici… due di loro” risponde con l’aria di chi è stato preso con le dita nella marmellata.

— “Bene, ritengo che sia impossibile per qualsiasi ratto eseguire un furto del genere. Non mi sembra che ci siano dubbi sulla vera pista.”

Lei ha uno sguardo triste e preoccupato. Fissa le mie scarpe senza rispondere.

— “Vostra Sign…”

— “Chiamami con il mio nome: Atena”

— “Ehm... sì, come vuole… come vuoi tu. Accidenti... Atena, nientemeno. E’ un nome da casta sacerdotale questo !”.

— “Sì, la mia famiglia è tra le fondatrici dell’Impero. Ma i passati splendori sono ormai tanto lontani…”

— “Cosa diamine vi è successo?”

— “Beh, il mio bisnonno si è lanciato nella fabbricazione di finte camelie…”

— “Ahia…”

— “Abbiamo avuto un tracollo finanziario. Abbiamo perso migliaia di Imperiali d’oro e milioni di dinari d’argento. Così, io ho sposato un uomo di una casta inferiore ma non avevo scelta. Poldo è un bravo tipo.”

— “Non ne dubito...” la interrompo io

— “Suo padre era un funzionario gamma che non è riuscito a passare il livello superiore. Poldo è ambizioso, ed è già un beta di seconda classe. Però, dubito che possa andare più lontano… viste le sue origini…”

— “Molto interessante, ma ti dispiace se torniamo ai domestici?”

— “Oh, scusa… ho dei sospetti sulla più giovane. Una bella brunetta vivace. Ma…”

— “Ma se la denunci per furto di pillole azzurre e rosse… quelli la vengono a prendere, la portano via, e non se ne sa più nulla. Anzi, posso immaginare che fine…”

— “No, basta. Ti prego. Non andare avanti. E’ anche peggio di quello che pensi… sono la moglie di un funzionario della sicurezza segreta “ dice Atena con la voce spezzata.

Silenzio cupo.

— “Non vedo altra soluzione che inventarmi una storia assurda di ratti mutanti… col rischio di coprirmi di ridicolo con gli altri operai. Topi che maneggiano le password, che idiozia. Ma è l’unico modo per evitare un crimine…”

Atena mi guarda. Ha gli occhi rossi e pieni di lacrime.

— “Le pillole saranno già state rivendute al mercato nero. Inutile sperare di recuperarle.” dico stancamente “Posso almeno sapere il nome della piccola ladra?”

Atena resta un attimo silenziosa, sovrappensiero.

 

Poi mormora: “Kika. Si chiama Kika. Ha solo vent'anni"

 

 

 

Strani tempi passati

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Restiamo meditabondi, uno di fronte all’altra.

La luce del sole ha riempito la stanza, rifrangendosi in mille bagliori sulle porcellane e le cromature.

Improvvisamente, Atena si riscuote come risvegliandosi da un brutto sogno.

Mi guarda con simpatia e, trasfigurata, mi sorride.

— “Posso offrirti una pillola gialla rinfrescante?...” dice, cercando con lo sguardo il mio distintivo.

— “Mi chiamo Rose, volentieri”.

— “Bene Rose. Andiamo nel salone, staremo più comodi per una chiacchierata”.

La seguo. Mollo in cucina il bidone del veleno, per non sporcare.

Mi conduce in un’ampia stanza circolare. Grandi vetrate perimetrali bevono onde di luce. Il morbido disegno delle nude colline, rotto solo da qualche grande arbusto di Arbatax, sembra spingersi con naturalezza nello spazio domestico. Le pareti sono di un candore immacolato che però, grazie alla natura particolare della vernice, non infastidisce gli occhi. Un vaso antico del IV° secolo Dopo la Catastrofe abbraccia un mazzo di camelie finte, su un tavolino di vetro basso. Un divano rotondo color crema, uno spazioso invito a poltrire, galleggia come una soffice nuvola nel centro. Accanto c’è una statua di bronzo altezza d’uomo di Erone di Samotracia. Dovrebbe rappresentare un delfino (una specie estinta) che si erge quasi verticale sopra la spuma del mare. Costerà dieci imperiali, a dir poco. E’ anatomicamente inverosimile, penso lanciandole un’occhiata di disgusto. Lo schermo televisivo, immenso, è fortunatamente in stand-by, con il salvaschermo regolato sulla funzione acquario. Emana una luce bluastra, nessuna traccia di vita marina.

Qui, rifletto, c’è tutta la comodità e la rassicurante sobrietà di cui necessita una moderna coppia di classe sociale elevata. Mi domando cosa faccia tutto il giorno Atena, mentre mi siedo sul bordo del suo divano.

— “Rilassati Rose. Sembri un tizio convocato per un interrogatorio…”

— “Ehm… la tuta potrebbe lasciare delle macchie… non vorrei…”

Mi guarda teneramente, come si guarderebbe un bambino goffo ma delizioso. 
— “E’ un nome bizzarro Rose. Sei originario di Omphalos?”

— “Che domanda… siamo tutti originari della capitale dell’Impero. La gravidanza artificiale è la norma da secoli, ormai. Tutti figli della Imperial Fabbrica dei Pupi.”

— “Questo è ovvio, ma da noi si dice appunto che uno proviene dal luogo in cui i suoi genitori decisero di inviare il loro materiale genetico” dice lei, quasi divertita.
— “Sì. I miei si trovavano a Skira, sulla costa del Mar Cupo. Ci ho passato l’infanzia.”

— “A Skira?? Ma è un posto pericoloso… infestato di barbari!” esclama Atena, allarmata.

— “Io non ne ho visto neppure uno. Ma devo dire che la base era molto protetta. Mia madre era un funzionario scientifico di classe alfa, primo livello.”
Atena è sbalordita. Effettivamente è un grado molto elevato.

— “Doveva essere un genio!” dice entusiasta come un’adolescente “e… e tuo padre?”

— “Mio padre era di lontane origini barbariche. Era autodidatta e possedeva dei testi antecedenti alla Catastrofe. Persino una rivista in itagliano (sic!) una strana lingua morta, con un titolo come “Gente oggi” o roba simile. Piena di fotografie e testo. Si vedevano delle femmine quasi nude…” devo interrompermi tanto lo stupore di Atena è grande.

— “Questo perché all’epoca non c’erano le pillole… ehm… le candide pastiglie di neve, e si praticavano i barbarici rapporti carnali?” mi chiede, ansiosa.

— “ Immagino di sì ”.

Atena è arrossita parlando delle pillole bianche, le pillole del piacere. Persino nominarle è sconveniente, nei quartieri alti.

La lascio un po’ calmarsi e continuo, visto che sembra pendere dalle mie labbra: “All’epoca erano tanto ossessionati dalla nudità che la utilizzavano in tutte le salse… persino per vendere dei prodotti qualsiasi. Roba di cui oggi non si capisce più l’utilità o la funzione senza una laurea in “ costumi e modi di vita estinti ”. Sono cose troppo tecniche e difficili per noi profani. Proprio in questa Itaglia, all’epoca della rivista in questione, pare che un commerciante avesse preso il potere vendendo la sua immagine e i suoi prodotti grazie a figure di donne nude…”

— “Ma non è possibile” mi interrompe Atena “queste sono leggende…”

— “Me lo raccontò mio padre e di lui c’era da fidarsi su questioni del genere. Le persone erano dominate dal sesso e la nudità, che oggi è priva di significato, le perturbava. Forse era perché, in quei barbarici tempi, si legava il sesso al piacere e non come oggi il piacere alla chimica. Non c'erano ancora le candide pastiglie di neve (un eufemismo per dire: le pillole bianche del piacere N.d.A.). La procreazione era legata al rapporto sessuale e la gestazione avveniva nel corpo della donna, per quanto questo possa apparire oggi inverosimile e ripugnante.

Comunque mio padre riusciva a decifrare molte lingue precedenti la Catastrofe. La più importante, cioè il cinese, usava un alfabeto simile al nostro. Ad ogni modo, lui  leggeva quella rivista italiota come se fosse scritta in omphaloniano. Era poeta. Non faceva nulla di preciso tutto il giorno. Declamava le sue poesie, guardando le nuvole. Se non fosse stato per mia madre saremmo vissuti in uno di quegli squallidi alloggi popolari, con i ratti…”

— “Oh, scusa Rose… ti ho proposto una pillola rinfrescante e poi… il tuo racconto è talmente incredibile ed appassionante che mi sono persa. Adesso chiamo subito Paolus”.

Paolus, il maggiordomo, è un omino rotondetto, affetto da nanismo, la fronte pelata e il sorriso untuoso. Arrivato a passettini rapidissimi nel salone, ascolta imperterrito la richiesta di Sua Signoria di due pillole gialle rinfrescanti; poi mi lancia un’occhiata e la vista inaudita di un derattizzatore seduto sul divano e in attesa di essere servito, lo perturba a tal punto che rimane immobile, il sorriso stampato come la smorfia di una paresi.

— “Allora Paolus, che succede? Ha sentito gli ordini?...” dice Atena un po’ spazientita.
— “Sì, Vostra Si… vostra Sì…” balbetta il povero ometto.

— “Coraggio Paolus. Non la pensavo affetto da balbuzie. E’ un problema recente?” ironizza Atena, impietosa.

— “Sì, Vostra Signoria. Volevo dire… no, sto benissimo Vostra Eccellenza. Due grandi pillole gialle, subito. Ehm… volevo avvertire Vostra Signoria che la piccola Kika non si è presentata questa mattina…”. Appena detto ciò, Paolus esce dal salone quasi correndo, forse per nascondere l’imbarazzo.

Atena ed io ci guardiamo, seri.

 

Non abbiamo più voglia di raccontare degli strani tempi passati.

 

 

 

Servitù 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atena si è rabbuiata, quasi parlando piano a se stessa la sento dire: “Ma che ha nella testa quella ragazza? Cosa le prende?... Non  mi può credere veramente capace di denunciarla… però, se sparisce mi rende le cose più difficili…”

— “Forse” dico io, timidamente “è solo ammalata… o ha avuto un incidente…”

— “Spero che dia presto sue notizie. Comunque” si riscuote vivacemente la mia ospite “bando ai brutti pensieri. Devi perdonarlo Paolus: la servitù è piena di pregiudizi”

— “Mica solo la servitù” ribatto, un po’ beffardo.

Atena sorride.

Improvvisamente, Paolus rientra incespicando nel soggiorno con un vassoio d'argento. Trema tutto e le due pillole gialle, anche se posate su morbidi cuscinetti, rischiano di rotolare come biglie sul pavimento di finto legno. Non sa cosa fare. Servire prima la sua Padrona o l’ospite indegno? Rimane piantato come un palo davanti a noi. La bocca aperta in una smorfia di vera sofferenza.

 — “Paolus” esclama Atena con una vena di nervosismo nella voce “si può sapere che intenzioni ha? Vuole farci fare notte ?”

— “Io… Vostra Signoria… che cosa sta… succedendo?” balbetta il maggiordomo sull’orlo del pianto.

Mi accorgo che Atena deve fare uno sforzo per non urlare dalla rabbia. Con un tono secco ma rassicurante scandisce bene le parole: “Paolus! Ma se io sono tranquillamente seduta in compagnia di questo Signore, mi spiega perché lei si deve agitare?? Le pare che io manifesti qualche reazione di spavento o di timore?”

Paolus fa un rapido cenno negativo con la testa.

Atena riprende: “Questa persona non è un semplice derattizzatore” per la prima volta il domestico mi guarda apertamente in viso “ il dottor Rose ha una laurea in “ animali nocivi ” alla Regia Imperiale Università e studia in incognito, per conto del Governo, le abitudini dei topi per poterli sconfiggere definitivamente. E’ un funzionario scientifico alfa di terzo livello !”.

A queste parole il povero Paolus passa immediatamente da un terrore indefinito a quello molto preciso di chi si trova davanti un’autorità, e teme di aver fatto un errore capitale.

 — “Vostra suprema Eccellenza deve perdonarmi… io non sapevo… io…” riesce a dire rivolto a me l’omino, con un’espressione così sconvolta sulla faccia tonda che devo trattenermi dallo scoppiare in una risata.

— “Non poteva saperlo, buon Paolus” dico cercando di reggere la parte “non mi sono presentato ufficialmente perché il progetto governativo è segreto. Lei saprà mantenere un segreto, vero?”

— “Oh, certo supremissima Eminenza… lei… è davvero un alfa?”

— “La promozione è cosa di oggi” lancio un’occhiata ad Atena che tenta di soffocare il riso “da un punto di vista burocratico sono ancora un beta di primo livello”

Paolus ha un’aria sognante. Più elevato del suo Padrone Poldo. Mi guarda come un contadino dell’antichità poteva guardare una sacra icona.

Atena rincara la dose: “Il dottor Rose possiede un vero gato, le mostrerà l’immagine sulla sua tavoletta telematica”.

A questa notizia Paolus sorride di gioia, gli zigomi rossi e la fronte imperlata di sudore.

Con una mano tiene professionalmente il vassoio e con l’altra, scusandosi, avvicina il piccolo schermo al viso radioso.

— “Ecco” commento didattico io “quella bestiaccia grigia sulla mia spalla è Infelix”

— “Ohhh, Vostra eccelsa Signoria… è un gato meraviglioso… con quel pelo lungo e il grande occhio arancione!... Che onore immenso poter vedere una simile immagine…” esclama Paolus commosso. Poi il domestico aggiunge: “E cosa mangia, Vostra Eminenza?”

— “Pillole verdi, come caramelle”.

Paolus scoppia in una risata: “Come quel deficiente di mio cognato! E’ ghiotto delle K66…”

— “Ma, Paolus…” lo rimprovera Atena con un’occhiataccia. Il maggiordomo si accorge di essersi lasciato andare a troppe confidenze. Diventa paonazzo e fa qualche passo indietro, come per congedarsi.

Atena interviene severa: “Le pillole, cretino!”

Inghiotto la piccola sfera gialla che il nanetto mi ha immediatamente offerto.

E’ una sensazione meravigliosa.

 

Non ho più sete.

 

 

 

Infiltrati

 

 

 

 

 

 

 

 

Appena rimasti soli, torno alla carica.

— “Parlami un po’ di Kika, vuoi?”

— “Mah, cosa posso dirti?” risponde Atena sconsolata “Non la conosco bene. E’ una ragazza bizzarra. Una testa matta. Molto vivace e attraente, ma misteriosa. Non pensavo che arrivasse a commettere un furto simile. Per guadagnare qualche dinaro al mercato nero? E questa assenza? Non capisco. Qui non manca di nulla. L’amministrazione trova ad ogni cittadino di Omphalos un‘occupazione corrispondente alle sue capacità e conoscenze… beh…”mi guarda sorridendo “a parte qualche curiosa eccezione! Certo, io l’avrei rimproverata severamente, ma poi tutto sarebbe tornato come prima.”
— “Hum… nulla avrebbe impedito che ricominciasse a rubare” obietto, fissandola negli occhi.

— “Ma a che scopo?” risponde Atena, esasperata.

— “Sai, la vita nei quartieri bassi non è poi tanto facile. Lì, una pillola rossa o una azzurra te la puoi sognare. I fiori finti o la luce sono una rarità nelle minuscole celle abitative. Per non parlare delle opere d’arte. Stai in mezzo ai ratti e sei sempre circondato dalla folla. Forse Kika ha voluto vendicarsi di tanto spazioso lusso…”

— “Strano discorso, per uno che dà da mangiare manciate di pillole verdi al suo animale da compagnia…”

Colpito nell’orgoglio, sto per dirle seccamente che Infelix non è un animale da compagnia, ma un oggetto di studio.  Alla fine mi trattengo.

— “Il vero problema è l’immobilismo, Atena. La sensazione che la tua vita sarà sempre uguale, senza nessuna prospettiva di cambiamento. Le caste sociali bloccano tutto, e siamo tenuti in una condizione artificiale di paura e sottomissione. Se non hai mezzi non puoi godere della più piccola cosa che non rientri nella tua tabella di Regia assistenza sociale…”

— “Ti ricordo Rose che, quanto al piacere, ” insiste Atena “questi poveri non devono neppure pagarselo: l’amministrazione distribuisce gratis a chiunque le candide pastiglie di neve”.

Sorrido a tanta ingenuità: “Sai benissimo che non hanno nulla a che spartire con quelle di alta qualità che paghi a prezzo d’oro, qui”.

Atena stringe la bocca, in una mossa vezzosa: “Non lo so, non le ho mai provate…”

— “Quali? Le loro porcherie o le vostre stratosferiche pillole bianche?” dico volgarmente.

— “Le loro… oh, e poi non sono fatti tuoi!” ribatte stizzita. Dopo una pausa aggiunge: “Se non sono soddisfatti possono sempre accoppiarsi alla maniera barbara… pare che non sia tanto male. Però, bleah!... è disgustoso solo pensarci…”

— “Disgustoso è un termine un po’ forte…”

Atena mi lancia un’occhiata fiera e forse vagamente ostile: “Ah, comincio a pensare che la mia prima impressione fosse esatta”.

— “Quale prima impressione. Parla chiaro, per favore.”

— “Beh, Rose… ti avevo scambiato per un barbaro male intenzionato. Tu stesso mi hai detto che tuo padre aveva lontane origini extracittadine…”

— “Non dire fesserie Atena. I barbari sono deformi, pieni di peli e non parlano l’onfaloniano. E’ cosa risaputa”

— “No. Ci sono dei barbari che non distingueresti da un cittadino. Me lo ha detto Poldo. Sono degli infiltrati e costituiscono un grave pericolo. Vanno stanati e liquidati come ratti”.

— “Ah, è questo che fanno gli imperiali servizi segreti?”

— “Tra le altre cose…”

— “E tu, a parte raccogliere i pettegolezzi di Stato… che fai tutto il giorno?”

— “Io ho una galleria d’arte in città. Corso Amman. La conosci?”

— “Non vado mai nel centro”.

— “Peccato. Dovresti venire a vederla. Questa statua di Erone appartiene alla galleria, ma l’ho temporaneamente esposta in casa mia…”

— “Hum.. non mi interessano le cattive riproduzioni della natura estinta…”

— “Che caratteraccio Rose” mi dice Atena, scoprendo le lunghe gambe “ non troverai facilmente una ragazza disposta a prendere una pastiglia di neve con te…”

— “Infatti, le prendo da solo. Però sono le miserabili pastiglie governative. Forse potrei anche farne a meno”.

Atena è seduta accanto a me, quasi distesa. La vestaglia sottile lascia intravedere la forma graziosa del corpo. I seni sono quasi denudati e seguono, oscillando appena su e giù, il ritmo profondo e tranquillo del respiro. Potrei scommettere che mi sta per proporre una pillola bianca in due. Invece, si raddrizza e mi fissa, severamente.

— “E se Kika fosse un’infiltrata?”

— “Questa è fantascienza” rispondo secco.

— “E’ stato Poldo ad introdurla come domestica… ma fu lei a proporre al servizio amministrativo di cui mio marito era responsabile il dossier informatico che la riguardava…”

— “Aspetta… aspetta… cioè: tu vorresti dirmi che questa Kika ha dato dei documenti falsi a tuo marito per essere assunta a casa tua come domestica?”

— “Beh, è un’ipotesi…”

— “Tutto questo per rubare qualche pillola di valore? Ma ti rendi conto che è assurdo. Ammesso e non concesso  che questa storia di infiltrati sia credibile”

Atena mi guarda ancora più intensamente: “Non ci sono solo le pillole… c’è stato anche un furto informatico… documenti segreti di cui Poldo aveva la custodia personale.”

Io trasecolo: “Stai scherzando?”

Atena scuote la testa.

Ho l’impulso di alzarmi e di andarmene. E in fretta. Ma non so come fare. Le confessioni di Atena mi hanno inguaiato, lo sento. Cerco di stare calmo.

— “Ascolta Atena, non capisco perché mi hai detto tutto questo. Io voglio starne fuori. Faccio il derattizzatore. Adesso devo proprio andare… scusami…”

Atena ha un lampo di disperazione negli occhi. Mi prende improvvisamente la mano e la stringe. Ho un tuffo al cuore.

 

— “Rose… aiutaci… aiutami… ti prego”.

 

 

 

 

Dritto in un mare di guai...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sembra di vivere in un incubo, proprio nel cuore del lusso.

— “Aiutare chi, Atena? E come?... Non capisco…”

Per la prima volta, un’espressione di autentico terrore e di inesprimibile angoscia si dipinge sul volto nobile della donna. Stringendomi le mani con forza raddoppiata, gli occhi spalancati, quasi irriconoscibile, Atena bisbiglia velocemente questa frase, come se stesse per avere un crollo nervoso: “Se loro vengono a sapere, e prima o poi succederà, del furto di questo materiale informatico riservatissimo… mio marito sarà trascinato davanti al tribunale militare Imperiale e noi non avremo scampo!”

Ad un tratto, un lampo di intuizione mi attraversa il cervello come una lama infuocata. Ho capito tutto.

Afferro Atena a mia volta per i polsi, e la scuoto violentemente urlando: “Devi dirmi la verità, hai capito? Voglio sapere tutta la verità! Basta con questa commedia… mi hai sentito??”

Lei annuisce singhiozzando, e cerca di farmi abbassare il tono di voce.

Faccio appena in tempo ad intravedere, con la coda dell’occhio, la sagoma tozza di Paolus che sparisce rapidissima dal buio vano della porta.

Ora, una strana calma mi ha invaso. Fisso Atena negli occhi e con metodica insistenza le faccio sputare il rospo: “Questa delle pillole è una messa in scena, vero?... Bene, nessun furto di pillole e nessun ratto. Ci siamo. Ora avanti. I documenti sono stati rubati da Kika?”

— “Sì” risponde Atena, lugubre.

— “Da quanto tempo si è volatilizzata la ragazza?”

— “Una settimana…”

— “Una sett…? Per Zeus! Complimenti. E che diavolo avete combinato in sette giorni?? A parte inventarvi questa bella trovata dei topi con q.i. di 120?”

— “Poldo… doveva cercare aiuto. Ma non c’è nessuno di cui si fidi nell’amministrazione”

— “E ci credo. E’ un paniere di serpenti a sonagli quello…”

— “Di cosa?”

— “Lasciamo stare. Continua…”

— “Eravamo completamente soli. Abbiamo l’indirizzo di Kika, certamente… ma senza un mandato ufficiale non possiamo farci aprire. Poldo era disperato: non poteva chiedere aiuto ad un funzionario ma non poteva neppure domandarlo ad un cittadino del popolo, ad un operaio ignorante ed analfabeta. Ci avrebbe comunque denunciati, per stupidità. Allora ha trascorso notti intere in archivio per cercare il dossier di qualcuno di anomalo, di lontano dal potere ma che fosse abbastanza colto da capire la situazione. Una sorta di saggio ribelle, insomma. L’altra sera è tornato a casa esultante. Erano giorni che non gli vedevo un sorriso. Mi ha detto che aveva trovato il “nostro uomo”. Un derattizzatore. Così, abbiamo inscenato il furto e lui è riuscito a fare in modo che l’impresa mandasse proprio te. A quel punto, entravo in gioco io. Avevo il compito di convincerti ad aiutarci in qualsiasi modo. Pillole di neve comprese, se fosse stato necessario… Ecco, ora sai tutto. Non abbandonarmi… ti prego.”

Atena tira fuori un fazzoletto e si asciuga le lacrime. Ha i suoi bellissimi occhi blu cobalto tutti arrossati. Provo pena e imbarazzo. Per lei e… anche per me. Mi rendo conto che sono in un merdaio fino al collo. Forse mi illudo di avere ancora la testa fuori. Non posso andarmene così, e lasciarla in questa situazione. Sarebbe capace di inghiottire una fatale pillola nera. Sono certo che gente come lei ne possiede almeno una. Le guardo il grosso anello. Sicuramente è anche un contenitore, e si può aprire. Mi sembra di avere i raggi x e di vedere la piccola messaggera di morte che aspetta nel suo nido. Pronta. La mia immaginazione inizia a produrre fantasmi. Io sono partito senza una parola, e il corpo di questa giovane donna giace riverso sul suo bel divano, un rivolo di sangue dalla bocca ha formato un piccola macchia purpurea sul cuscino. Il maggiordomo nano la trova inanimata, caccia un urlo che non produce nessun suono e gli muore in gola. La stanza pullula di poliziotti e di funzionari dei servizi segreti. Paolus racconta che mi ha visto urlare. Sarò convocato negli uffici dell’Impero alla velocità della luce. Forse accuseranno me di furto. Stanze di tortura, materassi imbottiti, pillole arcobaleno della follia. Ma prima, qualche giorno dopo la morte di Atena… sarà la volta di Poldo. Una pillola nera anche per lui. O peggio: un misto di vari colori alla rinfusa. Con il rischio di uscirne lobotomizzato…

— “Rose, Rose…” mi giunge quasi da lontano la voce di Atena. Eppure è qui, vicinissima: “Rose, a cosa pensi? Non sei convinto di quello che ho raccontato? Non ho mentito, sai. Ma non sei obbligato a fare nulla. Se non te la senti… noi… troveremo un modo… dobbiamo trovarlo…”

Respiro profondamente.

— “Dammi l’indirizzo di questa Kika, per favore. Ci vado subito.”

Atena sorride. Due lacrime le rigano il viso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sicurezza, sicurezza...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La riconoscenza sul viso di Atena mi aveva galvanizzato, per un istante.

Esco dal sobrio ma lussuoso edificio, che conterrà al massimo tre appartamenti, a grandi passi decisi.

Il portiere, nella sua impeccabile divisa, mi lancia un’occhiata in cui si mescolano indifferenza e disprezzo. Che importanza può avere?

Ma appena metto piede sul vialetto curato, inondato dalla luce violenta di un sole già troppo caldo, tutto il mio entusiasmo evapora come una sottile pellicola di brina.

Le energie mi abbandonano, alla velocità con cui l’aria fuoriesce sibilando da un pallone forato.

Mi accascio sul mio bidone del veleno. Sopra c’è disegnata la figura stilizzata di un ratto in un triangolo rosso barrato. Sembra che l’animale mi fissi crudele e beffardo. Trovo che mi somigli… in quel triangolo ci sono dentro io, in realtà.

Già vedo avvicinarsi il primo funzionario della sicurezza che mi trova sospetto. 
E’ un poliziotto municipale di terza classe. Scende dalla sua ridicola aeromobile che ha parcheggiato in basso al vialetto. Riesco a distinguere la stellina verde sull’uniforme. Sono i peggiori. Poco potere e molta rabbia vendicativa, che sfogano con i rari inferiori su cui possono mettere le mani.

Io sono un suo pari, burocraticamente parlando, ma questa non è certo una situazione ideale.

— “Favorisca il tesserino di riconoscimento, prego”. Mi dice secco, con mal celata soddisfazione.

Io frugo nella mia borsa, però resto seduto sul bidone. La cosa non gli garba.

— “Devo rammentarle cittadino Rose che, in presenza di un funzionario di pubblica sicurezza, articolo 9 comma a del regolamento di P.S., si è tenuti ad assumere una posizione rispettosa e, salvo i casi previsti o le dovute eccezioni, a sostare in piedi guardando in viso il suddetto ufficiale, schiena dritta e pancia in dentro…”

Stai confondendo con il regolamento militare imperiale, pezzo d'imbecille… penso io.

Mi riprendo il tesserino e lo ributto nervosamente nella sacca. Questa mossa non dovevo farla.

— “Il suo comportamento, cittadino Rose, è inqualificabile. E’ mia premura effettuare anche un riconoscimento vocale. Prego: pronunci una frase di almeno cinque parole, scandendo bene nel microfono.”

Sono così inviperito che non rifletto un secondo, e grido: “Due belle pillole bianche, grazie!”

Il poliziotto sussulta e diventa rubizzo. Se avessi detto una sola pillola non sarebbe stato tanto grave ma… due… allude alla possibilità sconcia che le prendiamo insieme… lui ed io.

— “Evidentemente, cittadino Rose, lei non ricorda come sono fatti gli uffici di un commissariato… ora le rinfresco la memoria…” ruggisce furibondo cercando la sua tavoletta telematica per avvertire un collega, probabilmente.

Io adesso devo umiliarmi, o trovare qualche trucco geniale se voglio evitare di buttar via la giornata.

— “Le chiedo perdono, Eminenza Vostra” questa formula di grande onore può calmarlo non poco “sono un derattizzatore in servizio, e già in grave ritardo… forse, in questo preciso momento, i ratti molestano qualche funzionario di grado elevato nei paraggi e…” gli butto una velata minaccia che con gente come lui funziona sempre “io non vorrei che l’impresa scoprisse che Sua Eminenza mi ha trattenuto dal fare il mio dovere… Lei sa quanto i cittadini del “quartiere Paradiso” sono rispettabili…”

Il poliziotto si liscia i grandi baffi pensieroso. Ho fatto centro. Esita.

Poi, mi guarda ironico e dice con il tono di chi parla ad un bambino sciocco: “Ma qui, compagno derattizzatore, non ci sono topi… io non ne ho mai visti”.

— “Ma compagno funzionario” ribatto subito “è recentissima questa invasione di ratti nei quartieri alti, e abbiamo l’ordine imperiale tassativo di non perdere un solo istante per dar loro la caccia… e poi, ecco, lo sapevo…”

—“ Cosa succede?” grida quello allarmato.

— “Ho appena visto un grosso ratto infilarsi nella sua aeromobile”.

— “Cheee?”

L’ufficiale di sicurezza mi pianta lì, e corre come un disperato alla sua macchina. 
Ne sono certo: ha il terrore panico che la bestiaccia, uscita proprio adesso dalla mia fertile fantasia, gli rosicchi i sedili della sua “splendida” aeromobile… e gli divori tutte le sue dannate chiavette di memoria, per non parlare della preziosa riserva di pillole verdi K66.

Io?

 

Io me la svigno.

 

 

 

 

Attimi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono letteralmente fuggito dal “Quartiere Paradiso”, ad una velocità che io stesso non credevo possibile.

A quanto pare, nella “riserva per ricchi” è più facile uscirci che entrarci.

Assalito nuovamente dall’angoscia e dal timore della solitudine, prendo senza esitare la direzione del rione popolare sulla collina di Omphalos.

Non è molto distante e, con un’aeromobile pubblica che ho la fortuna di pigliare “al volo”, ci vogliono meno di 20 minuti.

Appena salito noto che i passeggeri sono tutti funzionari gamma e delta. Li riconosco subito dal loro aspetto sospettoso, grigio e mediocre. Mi guardano furtivi con una smorfia di repulsione, quasi fossi io il ratto. Si domandano probabilmente che diamine ci facessi a quella fermata per cittadini di casta elevata.

Ma appena l’aeromobile, scivolando veloce sul suo cuscinetto d’aria, si allontana dalla parte lussuosa della collina, avvicinandosi al capolinea, la popolazione che rapidamente si intasa sul mezzo è già molto diversa da prima. 
L’ora di pranzo si avvicina, e i delta insieme ai gamma sono scesi tutti quanti alla fermata del quartiere “bella vista”, verso le loro villette tutte uguali.

Naturalmente semplifico.

Un funzionario gamma considera il suo omologo delta poco più che un escremento, e le loro rispettive abitazioni non potranno mai essere paragonate. Per quanto mi riguarda sono invece sostanzialmente identiche, differiscono per qualche particolare insignificante e superficiale.

Le ville si affiancano ripetitive, con i loro giardinetti di sassolini alla “giapponese”, separati da arbusti di Arbatax.

I sassolini dei funzionari gamma, ad esempio, sono più fini e più candidi di quelli nei giardini dei delta. Capito?

Il popolino dei compagni operai che ha preso il posto dei funzionari sull’aeromobile è molto più vivace. A me non fanno caso, e se mi urtano non si scusano di certo. Ci sono donne del popolo con il loro bambino molto piccolo, appena uscito dalla Fabbrica Imperiale dei Pupi. Non più di uno: il governo lo vieta.

L’atmosfera, nel mezzo pubblico, è passata da un silenzio deprimente e schifiltoso ad una gazzarra vociferante.

Io credo che tutta questa gente spenda i 5 centesimi di rame del biglietto non perché così lontana dalla sua meta da non poterci arrivare a piedi, ma per il solo gusto di ammassarsi e di approfittare dell’aria condizionata.

Fuori, infatti, il caldo è sopportabile solo grazie al venticello che sale dal mare.

— “Caapolineea, riooone Suk. Tutti pregati sceendere, grazie” annuncia strascicando la voce il “compagno autista” grasso e gioviale.

Lascio che la piccola folla si accalchi alle uscite, formi un grumo variopinto e blaterante sul piazzale, per poi disperdersi come i tentacoli di una piovra in tutte le direzioni.

Lo spiazzo su cui si è fermata l’aeromobile è uno dei posti più belli di Omphalos, secondo me.

C’è una balaustra e una sorta di belvedere, da cui si abbraccia con lo sguardo la sconfinata metropoli che giace giù in basso come un grigio organismo, con le sue estremità che si spingono sino all’immenso quartiere malfamato del porto, sul mar Aram.

Girando per il rione, ci si può perdere nel dedalo delle stradine ed affacciarsi sulla vista dalla parte opposta, ad est. Nelle giornate più limpide si riesce persino a vedere in lontananza il mar Cupo (oggi è ancora il Mar Nero, N.d.A.).

Io immagino di scorgere Skira, nascosta in quella nebbiolina azzurra… irraggiungibile e perduta come l’infanzia.

Respiro profondamente l’aria salmastra che proviene dal porto.

La cupola principale dell’immensa cattedrale di Omphalos, scintilla con il suo prezioso manto e i cento minareti nel centro della città. Manda un riverbero dorato che contrasta meravigliosamente con lo sfondo ardesia dal quale sembra emergere, come in un sogno.

Per un attimo ho dimenticato tutto: Atena, Poldo, Kika, i funzionari, i ratti…  dissolti come una piccola nube velenosa nella sconfinata apertura dell’orizzonte.

Sono di nuovo felice. Per un attimo.

 

 

 

 

 

Perdito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Neppure la magia del pittoresco, verace e sospeso rione popolare della collina di Omphalos, può agire su di me a lungo.

Come un rigurgito di miasmi, risale inarrestabile in superficie l’incubo vissuto questa mattina.

Seduto sui gradini, in un angolo della piazza del mercato delle pillole, mi mordicchio nervosamente l’interno delle labbra. Il volto di Atena mi gira vorticosamente nella testa mescolato a quello di Paolus e alla figura indistinta e spettrale di Kika. Un’enorme e mostruosa lavatrice, piena di facce e di schiuma bianca che, poco a poco, si fa rosea e poi sempre più rossa. Colma di sangue, minaccia roteando impazzita di esplodere e di travolgermi. Trattengo un urlo. Tremo come se la temperatura fosse scesa sotto lo zero, mentre invece il caldo è insopportabile nella tuta da derattizzatore. Ho dei brividi e dei sudori freddi.

Sussulto e piango silenziosamente, la testa tra le mani.

— “Ci... ciao bello, ce l’hai mica un qua… un quarto di dinaro che… ti avanza, per caso?”

Alzo la testa e vedo, piantata davanti a me, la figura smagrita e triste di un perdido, ovvero: quattro ossa che ballano in una sporca tunica rattoppata.

Ce ne sono sempre di più, ormai.

Sono dei disgraziati che hanno abusato di pillole grigie.

Le pasticche grigie sono una forma modificata delle &pillole bianche del piacere& (scusate se mi esprimo un po' volgarmente, ma è per chiarezza) che distribuisce gratuitamente l’Amministrazione. Il loro effetto è molto più forte, ma sono una porcheria. A differenza delle preziosissime pastiglie di neve di alta qualità, che possono arrivare anche a costare mezzo Imperiale (500 dinari, circa), capaci di dare un piacere &indescrivibile& ma benefico e senza effetti collaterali, le pillole grigie le trovi per pochi maravedis (un quarto di dinaro, 25 centesimi) e ti danno una sensazione molto intensa quanto malsana.

Queste biglie malefiche, che sembrano sfere di metallo, offrono un rapido, sconvolgente, orgasmo ma, già dopo due giorni di “assaggi”, ti chiedono in cambio l’anima. Generano rapidamente una spietata dipendenza, e chi le possedeva ne diventa inesorabilmente schiavo. Il disgraziato vaga allora tutto il giorno e la notte con il solo scopo di procurarsene.

L’impero le aveva dichiarate illegali, ma questo aveva generato un mercato nero insopportabile e arricchimenti velocissimi. La struttura stessa dell’organizzazione sociale era in pericolo, così sono state legalizzate ormai da decenni.

Gli schiavi delle grigie, chiamati perdidos, non sono direttamente minacciati di morte da queste pillole. Teoricamente potrebbero vivere senza subire alcun danno. Il problema è che si procurano decine di orgasmi al giorno, perdono le forze e sono incapaci di assumere regolarmente le pillole necessarie alla sopravvivenza. Scambiano parte della loro dose di pillole marroni o verdi che gli fornisce la Regia Assistenza per il sostentamento, con delle grigie. Figuriamoci acquistare al mercato (con che soldi poi, visto che non lavorano?) delle pillole azzurre o rosse, seppure di infima qualità. Non ci pensano proprio. Il povero schiavo non assorbe mai certe vitamine o proteine che assicurano vita lunga e buona salute. Così, già a 70 anni un perdido ha l’aspetto di un vecchio di 200.

In particolare, il perdido, non assume abbastanza pillole gialle contro la sete.

Presto arrivano problemi a carico del fegato, disidratazione e malnutrizione. Il malato di pillole grigie viene ricoverato e rimesso in piedi dai funzionari della salute ma, appena fuori dall’ospedale, ricomincia la sua folle girandola.

Dopo anni di questa vita i perdidos muoiono prematuramente di consunzione o, indeboliti, di malattie improvvise.

E’ necessario che vi dica anche un’altra cosa: le candide pastiglie di neve di alta qualità, se prese in compagnia, generano un sentimento di profonda condivisione e appartenenza con l’altro. Se c’è una reciproca simpatia tra due o più esseri, queste bianche sfere sono in grado di fissare nel cervello degli utilizzatori in comune un sentimento di duraturo e profondo amore.

Le pillole grigie, invece, si raccomanda di non prenderle mai in compagnia.

Se questa regola è disattesa i colpevoli nutriranno uno per l’altro dei sentimenti di possesso e di vendetta che possono culminare nel crimine.

Molti perdidos che hanno ucciso i loro compagni di pillole, infatti, sono finiti al comando centrale Imperiale. E nessuno li ha più rivisti.

Credo che ne sappiate abbastanza. Posso continuare con il mio racconto.

Frugo nelle tasche della tuta e ci trovo solo 5 centesimi di rame. Cerco di darglieli senza mostrare troppo il mio viso sconvolto.

— “Grazie, be… bello. Che il potente Spirito Tele... mm... matico Imperiale ti pro... tegga” dice lui cerimoniosamente con un sorriso sdentato, ma gli occhi esprimono delusione e ostilità.

— “Non credo a queste stronzate… e adesso, scusa… puoi lasciarmi solo?”

— “Si… sicuro… Emi… Eminenza, sicuro”

Si allontana sollevando a malapena i piedi nudi senza calzari, e facendo dei curiosi gesti verso il cielo. Povero disgraziato, penso. Ma mi rendo conto che, in realtà, sto solo commiserando me stesso.

Istintivamente, mi guardo i sandali; lì dove, un attimo prima di andarsene, il perdido si è chinato.

Mi ha lasciato un regalino.

Nella polvere luccica, metallica e fredda, una piccola biglia grigia.

  

 

 

 

Mikaral, detto Miky.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con un colpo secco della punta del sandalo, faccio rotolare lontano quella porcheria.

La piazza è piena di gente, i grandi e piccoli contenitori di acciaio traboccano di sfere multicolore. C’è anche qualche venditore di fiori finti e di tuniche, ma questo è un mercato specializzato in pasticche. Si ode nell’aria il continuo mercanteggiare sui prezzi.

— “Le pillole blu che vende Termide sono ancora aumentate”, sento dire da un’Onfaloniana all’amica, in tono scandalizzato “fra un po’ sarà un cibo di lusso… 50 centesimi l’una, mezzo dinaro… ti rendi conto?”

— “Ma a quale classe appartengono?” chiede l’altra con esagerata sollecitudine.

— “Sono delle blu K40, capirai… certo, meglio di quelle classe 69 che distribuisce il governo… delle vere schifezze… ma per un mezzo dinaro, eh!...”

— “Hai ragione cara Epigea, dovrebbero come minimo essere K15…”

— “Come mi-ni-mo !” risponde plateale Epigea.

— “Ecco, adesso mi ricordo che devo fare scorta di pillole rinfrescanti…”

— “Ma perché non me lo hai detto subito, deliziosa Nereide? Le avrei prese per te da Termide. Ha delle bellissime gialle K12 a 30 centesimi l’una. Ti accompagno”

— “Oh, non disturbarti Epigea…”

— “Nessun disturbo… dunque, per ritornare al discorso di tuo marito… dicevi che ha trovato delle candide pillole di neve di buona qualità?...”

Il chiacchiericcio delle due donne si perde nella folla.

Tendo l’orecchio avido. Questi discorsi di una perfetta normalità mi calmano.

Sono tutti ignari della tragedia che si è abbattuta su di me.

E’ ormai l’ora di pranzo e rapidamente la piazza si svuoterà, almeno in parte. C’è troppa gente ad Omphalos. Ovunque. Salvo che in posti dove è proibito andare. Luoghi che io avrò il privilegio di vedere, affiancato da due agenti della sicurezza Imperiale. Prima che la pesante porta del comando centrale, lì dove si svolgono le torture e gli interrogatori, si chiuda per sempre dietro le mie spalle. Ohhh, ma perché doveva capitare proprio a me? Chi si occuperà di Infelix dopo la mia scomparsa? Povero gato, penso con le lacrime agli occhi. Sono solo come un topo che si sia cacciato in un cunicolo a fondo chiuso. Solo e… MIKARAL !! Mi venisse un colpo… come ho fatto a non pensarci prima?

Afferro la mia tavoletta telematica e compongo l’identificativo personale.

L’immagine rimane nebulosa a lungo. Poi appare il suo volto affilato, il sorriso ironico che mi interpella scherzosamente.

— “Guarda, guarda un po’ Rose… mi stavo chiedendo qui con i compagni che fine potevi aver fatto. Hai un’espressione atroce, mon amì… sembri tornato dall’inferno, altro che “quartiere paradiso” (risate dietro). Lo dicevo io che non bisognava lasciarti andare da solo”.

— “Ho bisogno urgente di parlarti… possiamo vederci in centro al bar Mis-ziz ?”

— “Non dico mai di no, ad un invito al bar… ad una condizione: dopo finisci il turno con me e poi andiamo a casa tua… ho un regalino per Infelix. Quella dannata bestiola golosa…”

— “Grazie Mikaral, grazie... non sai di quanto…”

Miky mi fissa attonito.

 

Poi sorride, dicendo: “Pensavo che offrissi tu.”

  

 

 

 

Nel cuore metropolitano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono così ansioso di arrivare al mio appuntamento e di condividere il peso che mi opprime con un amico, che prendo subito l’aeromobile sotterranea.

Sarò in centro alla velocità del fulmine.

Proprio lì, sulla piazza del mercato, c’è l’ingresso dell’ascensore che conduce al tubo (come lo chiamiamo noi).

Infilo il mio tesserino nell’apposita fessura e la porta si apre. Entro, sotto lo sguardo curioso di un gruppetto di ragazzini.

Solo i ricchi prendono questo mezzo a causa del suo prezzo proibitivo (1 dinaro e un maravedis). Un ottimo modo per scoraggiare l’affollamento che è la piaga di tutti i trasporti di superficie. Ma i derattizzatori in servizio hanno diritto di spostarsi gratis ovunque in città, e con qualsiasi mezzo: primo articolo del regolamento Imperiale sulla professione.

Approfitto per spiegarvi che nessuno possiede un mezzo di spostamento privato: a parte gli alti funzionari, alcuni rari sacerdoti imperiali e i poliziotti.

L’ascensore monoposto precipita silenzioso nelle profondità della terra, e si apre su un binario, dove un grande cilindro bianco aspetta i passeggeri.

Attendo pochi minuti, circondato da eleganti signore bionde con vistosi gioielli, e da qualche distinto funzionario che parla a voce bassissima. Tutti indossano raffinate tuniche di seta, piene di greche e di arabeschi dorati. Ai piedi calzano dei sandali alti, probabilmente in vero cuoio, all’ultima moda.

Si parte.

Come in un tubo ad aria compressa, il cilindro è spinto a folle velocità verso il centro della metropoli. Eppure, all’interno si stenta a credere che ci stiamo muovendo.

Io siedo a disagio, con il bidone del veleno fra le gambe e la mia sacca a tracolla. Accanto a me, un giovane ed aitante settantenne osserva concentrato la sua tavoletta telematica modello AA, fumando una sigaretta di vero tabacco 'Olimpus'. Ha le dita piene di gioielli e il classico medaglione degli appartenenti alla casta sacerdotale.

Improvvisamente, si volta verso di me.

— “Scusi cavo, un’infovmazione gentilmente. Ma è pvopio vevo, a quanto leggo qui, che c’è un’invasione di vatti al quavtieve Pavadiso?”.

— “Un’invasione di ratti? Ehm… è possibile, Vostra Eminenza… stiamo verificando”.

— “Pev Zeus, devono esseve diabolicamente fuvbi. Fovtunatamente ci sono opevai pvepavati ad ogni emevgenza come lei, che ci pvoteggono! Uh, uh ! ” dice sorridendomi, con voce querula e tutti i denti gialli.

Restituisco con sforzo il sorriso, mi scuso, e riprendo a fissare nel vuoto. Lui deve essere pago delle informazioni “non ricevute”, perché si rimette assorto a fissare la sua tavoletta.

Questi sbalzi di umore mi hanno dato fame: ingoio una pillola blu, una marrone e una verde (sempre in quest’ordine, mi raccomando!). Siccome non sono di classe molto buona (tutte delle K 60 o giù di lì) mi toccherà riprenderne questa sera.

— “Fermata centrale, corso Amman… le loro Eminenze sono pregate di scendere. Auguriamo loro un felice pomeriggio e un piacevole soggiorno nel centro della capitale” miagola suadente una voce femminile, dolce e sintetica.

I numerosi ascensori ci sparano uno ad uno in superficie.

Il cuore di Omphalos, con i suoi grattacieli e il suo grigiore metallico, le strade lunghissime e larghe, piene di una folla urbana pigra e annoiata, dove tutte le caste sociali sono riunite fianco a fianco, nello spettacolo impressionante delle vetrine dei negozi. Gallerie d’arte (a proposito… c’è anche quella di Atena, penso); grandi centri commerciali che vendono ogni sorta di pastiglia emotiva (quelle di classe zero, per intenderci: quelle che forniscono ciascuna una precisa immagine, visione, suono o emozione… a cui appartengono anche le bianche); boutiques di sandali, di tuniche, di gioielli, di fiori e di animali finti; negozi di informatica, di arredamento, di oggettistica… e poi un numero impressionante di locali da gioco e di bar.

A proposito di bar: in una delle viuzze laterali del corso c’è quello di Mis-ziz, dove ho dato appuntamento  a Mikaral.

E’ un locale abbastanza grande, con l’aria condizionata, le stanze a forma di grotta, i tavoli in finto legno, le luci stroboscopiche e gli schermi che riproducono supposte scene della natura (però, meglio non essere laureati sull’argomento: creature inverosimili, fanno cose improbabili ed emettono suoni incredibili, in contesti impossibili. Un giorno porterò loro un filmato con Infelix... sarà realistico, almeno! ). Molto apprezzato dalla gioventù della classe media di Omphalos, a quest’ora il posto è fortunatamente poco frequentato. Lo sapevo.

— “Desideri qualche pillola speciale, compagno ‘zato (sta per: derattizzatore N.d.A.)…” m’interpella frettoloso un giovanotto ai tavoli, vestito con una ripugnante tunica di pelo.

 

— “Non subito. Aspetto un amico”.

 

 

 

  

 

 

 

Appendice 1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Le grandi classi di pillole:

 A) Pillole nutritive

    Colori comuni: blu, marrone, verde, rosa.

    Colori rari: azzurro, rosso, viola.

    Classificate per classe (K), eccetto le verdi:

    K da 60 a 69 = qualità scarsa

    K da 40 a 60 = media

    K da 20 a 40 = buona

    K da 01 a 20 = ottima / eccezionale.

    Le verdi con K da 60 a 69 sono zuccherine. La loro classificazione è a parte.

 

B) Pillole dissetanti e che producono liquidi

    Colore trasparente, giallo o arancione.

Trasparente da K01 a K05 = acqua di ottima e buona qualità.

Trasparente da K06 a K10 = acqua di media e scarsa qualità.

Giallo da K11 a  K69 = bevande fruttate, sciroppate, rinfrescanti ecc. ma più alta è la cifra             dopo il K, peggio è per la qualità generale della pillola.

Arancione = bevande speciali, con K maggiore di 25.

Alcoliche con K inferiore a 25. Più basso è il numero dopo la K , più sono forti.

 

C) Pillole emozionali

  Le bianche, meglio dette: “pastiglie candide di neve”, seguono la stessa classificazione delle nutritive. Se hanno uguale numero di serie, prese in comune, generano simbiosi d’anima.

Le grigie = Vedi post n°13 “Perdido”.

Le nere = letali.

Le arcobaleno = psichedeliche e folli. Sono rarissime e non commercializzabili.

Tutta una serie di colori (verde, marrone, blu, viola, rossa, ecc… di classe zero, cioè K0 che danno  emozioni, suoni o visioni particolari).

 

 

Quel gran genio del mio amico...

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella penombra tranquillizzante del locale, nella piccola grotta uterina in cui ho preso posto, riesco a calmarmi e ad allontanare i fantasmi.

Circondato da liane e da muschio sintetico, rifletto.

Da quanti anni conosco Mikaral? Non me lo ricordo neppure.

Frequentavo ancora i corsi serali alla Regia Università, e lui era già da anni un amico.

Fottuto, cinico Miky… ignorante come un Arbatax (oggi voi direste: come una capra N.d.A.), ironico, velenoso e, a volte, persino brutale. Ma è il solo Onfaloniano che ignori la paura, tra i pochissimi a pensare con la sua testa. Ha un cervello invidiabile e detesta il conformismo tipico del nostro popolo. Un originale, Mikaral… è il minimo che si possa dire.

La sua famiglia sono derattizzatori da generazioni, operai fieri e orgogliosi.

La madre ha cercato di far studiare questo unico figlio, ma non c’è stato verso. Miky un giorno le ha detto: “A me piacciono le fogne”.

Alto, magro, dinoccolato, biondo naturale e con il codino. Orecchini; naso adunco; occhio ceruleo, vivace e canzonatore; labbra sottili; lingua sferzante; perenne sigaretta marca “La troiana” con tabacco sintetico, che pende dalle labbra: questo è Mikaral.

Ne abbiamo viste tante, noi due… dando la caccia ai ratti. Visitando quartieri, appartamenti, luoghi improbabili sopra e sotto terra, incontrando ogni sorta di gente (per lo più derelitti e popolino)… rivangando il passato ho un moto di sincera e profonda simpatia per questo giovane quarantenne, compagno di avventure.

Ma erano avventure “normali” penso, e ora mi domando, con una punta di inquietudine, in cosa diamine rischio di trascinarlo.

Una pesante borsa di lavoro piomba sul tavolino, e mi strappa bruscamente alle mie fantasticherie.

— “Cazzo Rose, sei ricercato dai servizi segreti? Potevi nasconderti in cesso, già che c’eri… ho fatto una fatica boia a trovarti… pensavo di aver capito male…”

Questo è Mikaral.

— “Scusa Miky” gli dico sorridendo “lo sai che mi piacciono i luoghi riparati…”

—  “Già, tu appena vedi un buco ti ci infili come uno scarafaggio… uff, che fatica… fammi riposare le stanche ossa e fumare una bella sigaretta…”

Tira fuori il pacchetto, fa il gesto di offrirmene una. Rifiuto. Lui l’accende ridacchiando e storcendo la bocca, con quella mossa che è tipica sua.

L’addetto ai tavolini, quello con la ridicola tunica di pelo, è già pronto davanti a noi per le ordinazioni. Sorride e sta per buttarci lì qualcosa di simpatico, ma lo sguardo improvviso e sbigottito di Mikaral lo inibisce, e così riesce solo a dire un banale : “Che vi porto, compagni ‘zati (derattizzatori N.d.A.)?”

Miky gli tasta la tunica.

— “Ma che è? Pelo di Mammouth? I funzionari scientifici ne hanno clonati troppi e non sanno cosa farne?”

— “ Cos’è il mamut, compagno 'zato?” risponde l’altro imbarazzato.

— “E’ quella cosa che uno diventa se non abbassate un po’ l’aria condizionata”

Devo trattenere una risata.

— “Te lo spiega Rose che è laureato in 'bestialità fossili ed altri escrementi ' ” continua imperterrito Miky, indicandomi. Poi, in tono scandalizzato aggiunge: “Ma non è un bar naturalistico-pseudo-preistorico questo? Merda, documentatevi ragazzi o, allora, cambiate la messa in scena. Mi lamenterò con la direzione… personale incompetente...”

Per togliere il povero barman da questa tragedia ordino una pastiglia arancione frizzante K5.

Adesso è me che Miky guarda, come se fossi atterrato da Sirio.

— “Perché, già che ci sei, non ordini una K2, così ti porto a casa con una lettiga? Ma sei fuori Rose? Quella roba non la reggi.”

— “Ho bisogno di qualcosa di forte” replico io, serio.

Mikaral mi guarda sospettoso, come per dire: ”tu non me la conti giusta”.

Poi, rivolto al ragazzino con la tunica di pelo: “Facciamo due belle K4, così stiamo allegri fino a sera, eh?”.

Questo è Mikaral.

Prendere o lasciare.

 

 

Fior di conio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 — “Coraggio Rose, a me puoi dirlo che questa mattina è successo un patatrac a casa del funzionario beta.”

— “In effetti, Miky…”

— “Lasciami indovinare: ti apre la moglie… una bella donna, biondissima naturalmente, annoiata a morte nella sua vestaglia trasparente di seta. E’ ovvio che i topi sono un’invenzione. Non ne ha mai visto uno in vita sua. Anzi, è guardando il tuo bidone del veleno che scopre come sono fatti i graziosi roditori. Ha delle sensazionali pasticche di “candido nevischio” e con lo stesso numero di serie, che vuole provare con uno sconosciuto. Non le sprecherà certo con il marito che lavora troppo, non la capisce, bla bla bla… Tu sei stregato e commetti l’errore fatale: ci stai. Le ingoiate insieme sul divano. Lei ha congedato tutti i domestici. La sensazione di piacere e di simbiosi è così forte che non vi basta stringervi le mani l’un l’altro… dovete irresistibilmente incastrare i vostri organi sessuali, e unirvi carnalmente come due selvaggi barbari…”

— “Finiscila, Miky…” gli dico arrossendo.

Ma lui non sembra avermi sentito: “Però, dopo 3 minuti, esaurito l’effetto chimico, la donna che stringi ancora pieno di passione, prova per questo contatto animalesco un disgusto improvviso, e ti allontana con le parole: “Grazie mille, è stato intenso, formidabile, ma ora si rimetta la tuta e se ne vada… mi mandi la fattura”. Purtroppo le pillole non hanno avuto su di te lo stesso effetto. L’immagine di lei si è stampata a fuoco nei tuoi neuroni, e da questa mattina non sogni altro che una pastiglia di neve in due. Sei innamorato a tal punto che ti accontenteresti anche di una semplice unione barbarica… che d’altronde, orribile a dirsi, non ti è dispiaciuta neppure così tanto…”

— “Eri partito molto bene Mikaral… peccato che poi tu sia scivolato nella classica storiella porno di terza categoria”.

— “Tutta colpa del cattivo servizio in questo bar… se ci avessero già portato le nostre K4 avresti visto che cosa non ti inventavo…”

Racconto a Miky, lentamente, e con estrema precisione, tutto quanto mi è accaduto da questa mattina sino al nostro appuntamento [Cose che potreste facilmente conoscere anche voi, leggendo il blog dal post n°2, N.d.A.].

Lui non mi interrompe mai. Mi fissa circondato dal fumo della sua sigaretta, succhiandosi le dita piene della polvere della pastiglia arancione che ci hanno finalmente portato. Io invece la ingoio d’un colpo, finita la mia narrazione.

— “Pfff, Rose…” mi dice dopo un lungo, meditabondo, silenzio “non riesco a crederci”.

— “Vuoi dire che pensi che… ti stia facendo uno scherzo?” gli domando risentito.

— “Oh, no. La tua storia è troppo assurda per essere inventata. E poi, dovresti vedere la tua faccia Rose. No, sei troppo spaventato. Quello che mi sembra incredibile è come tu ti sia fatto infinocchiare da questa Atena.”

— “Spiegati, Miky”

— “Ma per Zeus, povero Rose: non crederai mica che gente così che vive nella bambagia si suicida davvero? Ammettiamolo pure, per assurdo… e allora? Ammettiamo che il nano dica di averti visto litigare con la padroncina. Bene. La polizia imperiale segreta piomba a casa tua (figurati, con quello che hanno da pensare), fa una perquisa e cosa trova? Un cazzo di gato, sacchetti di pillole verdi, delle chiavette che parlano di bestie estinte, gli arnesi del derattizzatore professionista e poi? E allora? Il suicidio di Atena è inverosimile ma quello del marito… è demenziale. Anche se effettivamente uno tanto imbecille da farsi rubare in casa dei documenti supersegreti dalla prima ragazzina che passa: farebbe meglio a suicidarsi. Questo fesso, questo Poldo… sono affari suoi se ha sgarrato. Mica lo condanneranno a morte per quattro file? Che cosa mai poteva avere in casa un funzionario beta? Ma Rose… tu sei cascato in due occhi cobalto, e senza neppure una pastiglia…”

— “Ascolta Mikaral, io devo aiutare quella donna… era disperata. Devo andare da Kika e cercare di farmi restituire i documenti… in qualsiasi modo…”

— “Dove abita questa?” sbuffa lui, scuotendo la testa.

— “L’indirizzo esatto è in una busta che Atena mi ha consegnato. Comunque, dovrebbe essere la Torre 46, giù al porto.”

Mikaral fa una smorfia di disgusto: “Torre 46, al porto… ma Rose… quello è uno squallore… una schifezza di posto. Lì, i ratti sono tanto grossi e evoluti che nessun derattizzatore ci va senza il lanciafiamme, te lo assicuro!”

Trovo la busta di Atena nella mia sacca. E’ stranamente pesante. La apro sotto lo sguardo scettico di Miky. Contiene un foglio con l’indirizzo che leggo ad alta voce : “Quartiere del porto, via bianchi amori, Torre 46, 37° piano”

Miky sbuffa: “37° piano… che merda…”

— “Aspetta… c’è scritto: Caro Rose, per il tuo disturbo se non dovessi riuscire. Se invece otterrai qualche passo avanti verso la soluzione del “nostro” problema… ce ne saranno altri. Atena”

— “Altri cosa?” chiede lui interdetto.

Apro tutta la busta, e trovo una gigantesca moneta. La poso delicatamente sul tavolo con un toc sordo. Persino in questa semioscurità splende con un lunare bagliore. Il contorno è finemente dentellato, il recto ha un grande campo occupato dalla rosa di Omphalos magnificamente incisa, mentre il rovescio porta scritto il valore, circondato da una bella greca. E’ un “Mezzo Imperiale” di argento massiccio. 500 dinari, fior di conio.

Miky ed io la fissiamo, inebetiti.

Con questa… potrei comprarmi una pastiglia di neve sopraffina.

 

 

Piano nebuloso.

 

Mikaral, dopo una lunga pausa meditativa, rompe il silenzio: “Ragioniamo Rose. Ragioniamo su questa Kiki o Kika, o come diavolo si chiama. Le ipotesi sono tre.”

— “Kika, esatto.Ti ascolto” dico stancamente.

— “Prima ipotesi: è un’invenzione di nobildonna Atena che, dopo aver ingoiato una pillola arcobaleno, è diventata pazza da legare. Poco male. Tu vai lì e non combini un accidente. Punto e fine. Incassi il mezzo impero”

Annuisco con gli occhi al cielo.

—“Seconda ipotesi: la ragazzina esiste e ha rubato i file. E’ una scemotta che non ha idea del valore della roba che ha sottratto…”

— “Ma allora perché è sparita?” lo interrompo brusco.

— “Lascia perdere… è sparita perché è una sbalestrata, una bambina. Tu vai da lei, e le dai il tuo mezzo impero. Quella ti rifila la chiavetta rubata. Tu incassi almeno un paio di Imperiali d’oro. Fortunello che non sei altro.”

— “E la terza ipotesi?” dico io con calma.

— “La terza ipotesi è agghiacciante, compagno Rose.”

Guardo Mikaral negli occhi: sappiamo tutti e due che è quella probabile.

— “Terza ipotesi: Kika è un’infiltrata (li hai chiamati così, no?). Anche se ha solo vent’anni sa benissimo cosa sta facendo. Siccome non può agire da sola… fa necessariamente parte di un gruppo.”

— “Un’organizzazione segreta…” aggiungo quasi sottovoce.

— “Esatto. Di cui noi due ignoriamo tutto: estensione, mezzi e scopi…. ma che sicuramente non ha intenzioni tanto pacifiche. Ora, se è così… come credi di affrontare questa Kika? Con il lanciafiamme di servizio o con il bidone del veleno?”

— “L’unica” rispondo improvvisando sul momento “è di allearci caro Miky, e spartire gli eventuali profitti..."

— "O gli eventuali disastri..." aggiunge lui, amaramente.

— "Ci presentiamo come tecnici derattizzatori, anzi... visto il postaccio, come disinfestatori di scarafaggi e, grazie a questo travestimento, mentre uno distrae la piccola, l’altro fa un duplicato del codice di apertura della porta d’ingresso, poi…”

— "Fiuuu... bravo Rose! Come se fosse una passeggiata, vero? Naturalmente quello che s’intende d’informatica essendo io… spetterebbe a me l’ingrato compito… e se la porta funziona a riconoscimento vocale??”

— "Ma cosa diavolo dici Miky? In un alloggio popolare di una torre di 50 piani, al porto? E’ già tanto se non ci sono le chiavi e le serrature…” rispondo secco.

Miky sembra convinto, però io rincaro la dose.

— “Pensa alla ricompensa che ci divideremmo, Miky. Un imperiale a testa e forse di più. E poi distrarre la piccola è il lavoro più difficile, credimi.”

— “Sì, se quella è una barbara travestita… ti ficca un coltello tra le scapole. Mentre io che sono vicino alla porta, forse, riesco a svignarmela… mi occuperò di Infelix, stai tranquillo. Ondina (la ragazza di Miky) sarà fuori di sé dalla gioia di avere un gato in casa.”

Faccio finta di non aver sentito. Continuo.

— “…poi, c’è il problemino di aspettare che lei esca, per introdursi nell’appartamento e frugare ovunque…”

— “Altra banalità per due 007 come noi…” ironizza Mikaral.  

— “Una cosa per volta. Sondiamo la situazione e ci regoliamo a seconda di quello che succede. Ci stai?”.

Metto il palmo della mano aperta sul tavolino, e aspetto che Miky metta la sua. Lui me la sbatte sopra con un gesto enfatico da attore. 

Allora, recitiamo la formula tradizionale, in coro, ad altissima voce:

“TUTTI PER UNO E UNO PER TUTTI”.

Il ragazzino con la tunica di pelo accorre trafelato: “Compagni ‘zati… avete chiamato??”

Noi lo fissiamo con gli occhi fuori dalle orbite, e poi gli scoppiamo a ridere in faccia.

Siamo un po’ sbronzi.

La voce dei padroni.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’eco della nostra risata si è appena spenta quando, all’improvviso, le nostre tavolette telematiche si accendono contemporaneamente. 

E’ l’inizio delle trasmissioni di Tele Impero 2, il canale di Stato, e ogni schermo personale e pubblico riceve il segnale di accensione su quelle frequenze. 

Mikaral ed io chiudiamo subito le nostre tavolette. Non potremmo farlo se nel locale non ci fossero decine di schermi che trasmettono all’unisono lo stesso programma. I primi trenta minuti di trasmissione sono, infatti, obbligatori per chiunque, e guai a farsi sorprendere distratti.

Sappiamo che in strada si sono fermati tutti, e fissano i loro piccoli ricevitori o le grandi televisioni pubbliche, in religioso silenzio.

Appare il volto celeberrimo del presentatore ufficiale del canale imperiale. La faccia di Eolo è nota a qualsiasi onfaloniano di qualsiasi età, ed è considerato unanimemente come un famigliare. 

Alcuni gli riservano addirittura un culto. Cosa che Miky ed io troviamo semplicemente disgustosa.

— “Cittadini di Omphalosbuooongiorno!. Anche oggi il carro di Apollo è apparso radioso, attraversando la volta celeste, sulla nostra felice capitale ed ora si trova allo zenith. Tutto bene, perciò. Che il potente spirito telematico vi protegga. Operai, funzionari ed Eminenze sono le 13. La giornata lavorativa del turno del mattino finisce proprio in questo istante, mentre iniziano, con il turno del pomeriggio, anche le trasmissioni di cui sentivate già la mancanza. Questa è Tele Impero 2, ed io sono il vostro Eooolo

Questa stupida introduzione è sempre la stessa tutti i santi giorni, da tempo immemorabile. Eolo continua imperterrito.

—“ Settimo giorno, del sesto mese dell’anno 842 dalla fondazione dell’Impero, ovvero 1508 anni dopo la Grande Catastrofe. E non dimenticate mai: “solidali si sopravvive”.  Che gioia ritrovarvi, cari concittadini!.Tanto più che questo pomeriggio abbiamo due collegamenti sensazionali. E allora, eccovi la prima chicca: in differita dalla torre d’argento della Pubblica Amministrazione, il funzionario alfa di secondo livello Creonte, responsabile del progetto solidarietà sociale. Prego Eminenza.”

Creonte indossa una tunica azzurra e vistosi gioielli, avrà passato da parecchio i 100 anni, ed è l’equivalente di un ministro dei tempi barbarici. Parla con voce tremula e molliccia: sembra di ascoltare un budino.

— “Cari cittadini. Sapete quanti sforzi ha fatto l’impero per poter assicurare ad ogni individuo (e siete tanti, tantissimi), i mezzi minimi di sostentamento e di svago. A tutti è dato un lavoro di 5 ore (è molto, lo ammetto… vedremo se si può ridurre ulteriormente) secondo le capacità. A tutti è fornito gratuitamente un alloggio, una tavoletta telematica, delle ottime pillole nutritive e delle candide pastiglie di neve di eccelsa fattura.” Mikaralstorce la bocca come se avesse un conato di vomito “ Chi desidera guadagnare di più… può lavorare sino ad un massimo di sette ore… ma sapete quanto questo non sia ben visto, socialmente parlando.Tuttavia, direi che abbiamo piuttosto il problema opposto. Ultimamente il numero dei Perdidos è aumentato in modo preoccupante. E’ il nostro cruccio. Insieme al fatto che molti giovani si rifiutano di proseguire gli studi necessari ad accedere a professioni qualificate. E’ vero che le caste sociali bloccano un po’ le prospettive…” 

— “Soltanto un ‘pochino’, vecchio rincoglionito !” sbotta quasi urlando, Miky.

— “Sssh… abbassa la voce Mikaral. Le grotte hanno orecchie” gli dico tra il serio e il faceto.

Il budino va avanti: “…ma io conosco una gioventù ignorante, e che rifiuta qualsiasi occupazione anche tra i figli dei miei colleghi alfa. Non pensano che alle pastiglie di neve, alle pillole di classe zero e a bere nei bar del centro. Così non andiamo affatto bene. Solo l’armonica collaborazione di tutte le parti dell’organismo sociale può assicurare un futuro roseo ad Omphalos ed io tenevo a sottoporvi, cari cittadini, queste mie preoccupazioni per ottenere da voi suggerimenti e consigli che potrete spedire all’indirizzo del mio ministero. Perdonate ancora questa intrusione un po’ seriosa. A tutti uno splendido pomeriggio di svago. Ai turnisti del pomeriggio: buon lavoro!”

Mikral ed io guardiamo l’orologio… ancora quindici minuti da sopportare…

— “Perfetto Eminenza. Ricevuto chiaro e tondo” sorride ossequioso il nostro Eolo all’immagine preregistrata del vecchio Creonte “sono certo che gli onfaloniani hanno trovato il suo intervento del massimo interesse. Però, ora abbiamo l’occasione rarissima di ascoltare la viva voce e di vedere il volto di un funzionario scientifico alfa di primo livello: la dottoressa ed Eccellenza Sacerdotale Artemide. In diretta dal palazzo Imperiale, addirittura. Prego, Eccellenza.”

La voce di Eolo era quasi rotta dalla commozione.

Mikaral mi guarda e dice: “ Cazzo Rose… quella ha lo stesso grado che aveva tua madre. Cosa diavolo avrà da dire?”

Annuisco, pensieroso. 

Una splendida ottantenne appare sugli schermi. Ha la tunica bianca degli scienziati, con il piccolo atomo e la rosa di Omphalos. I lunghissimi capelli biondi sono raccolti in una pettinatura complessa e stravagante. Occhi di ghiaccio e una bocca rosso fuoco, perfetta. 

Un solo grande anello, un braccialetto d’argento e il medaglione sacerdotale. 

Per la prima volta oggi, tutti guardano con attenzione non simulata Tele Impero 2. 

— “Cari cittadini” la voce è sibilante, dura e quasi metallica “ sono intervenuta in via eccezionale per comunicarvi che i nostri scienziati, e in particolare l’equipe che dirigo, sono riusciti a mettere a punto il processo di trasferimento encefalico. Come voi tutti sapete il nostro imperatore ha raggiunto la ragguardevole età di 223 anni… 

— “Così vecchio, il grasso budda?” risuona la voce beffarda di Miky nel silenzio perfetto del locale. Gli lancio un’occhiata di rimprovero. 

— “…potremo continuare a godere della sua presenza e della sua infinita saggezza grazie alla scienza. Con un procedimento computerizzato la memoria e tutto il contenuto del cervello dell’imperatore verranno trasferiti nell’encefalo di un corpo giovane. Abbiamo già selezionato uno tra i numerosissimi volontari che hanno risposto al nostro appello”.

Miky sorride: “Chiamali volontari: avranno promesso al poveraccio e alla famiglia un mucchio di imperiali d’oro… ma tu ti immagini ritrovarsi un cervello di quarant’anni in un corpo di 220?? E’ grottesco e disgustoso”

— “Per il momento non posso fornire ulteriori informazioni. A breve, tuttavia, riceverete notizie dettagliate e il giorno del trasferimento encefalico verrà decretato festa nazionale. Grazie. Arrivederci.

— “Wow, ragazzi… che notizia!” esclama Eolo visibilmente scosso “Non me lo aspettavo proprio. E voi, cari telespettatori? Fatemi sapere le vostre reazioni sul mio forum!. Adesso, per ritornare un po’ con i piedi per terra, diciamo così, un magnifico documentario di testimonianze: dieci giovani onfaloniane ci descrivono le meravigliose reazioni che hanno provato grazie alle nuove pastiglie di neve di ultima generazione, distribuite dall’amministr… click!”

Tutti gli schermi nel locale sono stati staccati dalla frequenza di Tele Impero 2 allo scoccare dei trenta minuti, e rimessi su quella interna. 

 

Ora si vede un silenzioso combattimento negli abissi marini fra due bizzarri trilobiti rossi che, a mia conoscenza, non sono mai vissuti in nessuna era geologica.
Mi volto per dire a Miky quel che penso dei loro documentari naturalistici, ma quello è sgattaiolato fulmineo alla cassa.
Lo inseguo trafelato : “Corpo di Zeus, Miky… lascia pagare me…”
Lui è già fuori dal locale.
— “Arrivederci e grazie, compagni ‘zati. E ricordate: chi va piano va sano e lontano…”
— “Sì, sì… arrivederci… Miky!” urlo sui gradini del Mis-ziz “Mikaral, aspettami!”
Lui grida al vento, senza neppure voltarsi: “Spicciati Rose, non abbiamo un minuto da perdere”.
Cosa volete farci? 
Sono fatti così, gli uomini d’azione…

 

Maschere.

 

 

 

 

 

 

 

 

— “Prestarvi due tute da disinfestatori di scarafaggi con relativa attrezzatura? Ma lo sai che è illegale Mikaral? E poi non capisco a cosa possano servirvi…”

— “Ve l’ho già spiegato, compagno Aristofane… dobbiamo fare uno scherzetto ad un amico, e travestirci da disinfestatori. Ve le riporteremo prestissimo, non vi preoccupate”

Il vecchio Aristofane ci lancia occhiate sospettose, sotto le folte sopracciglia bianche. 

Si gratta la nuca, piegando il collo e storcendo il labbro inferiore.

— “Per questa volta passi Mikaral…”

— “Grazie, Aristò!” gridiamo noi in coro, come due ragazzini ai quali abbiano annunciato che è finita la scuola.

— “Però… che non si ripeta. Lo faccio solo perché ero un caro amico di tuo padre” dice con un sospiro, rivolto a Miky “non lavoravamo nello stesso settore: lui nei ratti e io nelle blatte, ma ero legatissimo a quell’uomo… e certo manca a tutti i suoi compagni… ma come gli sarà venuto in mente di fare una cosa simile?”

Miky scuote la testa. Poi cupo aggiunge: “Non lo so”.

Aristofane insiste, poco diplomaticamente: “Non che fosse una cattiva idea quella di eliminare i topi con l’esplosivo… ma era pericoloso. Lo avevo avvertito di lasciar perdere… non c’è stato verso di fargli cambiare idea. Era cocciuto come un arbatax (Oggi si direbbe: un mulo)”.

— “Papà era fatto così. Un po’ impulsivo, ma non era certo il tipo che si preoccupava della lunghezza di una miccia al millimetro”.

Aristofane annuisce. 

— “Quel che è peggio” riprende Miky “è che i ratti ne uscirono assolutamente illesi, quella volta. Per vendicarsi gli mangiarono tutti i candelotti di esplosivo. Quanto a lui… era polverizzato. Meglio così: se lo sarebbero tenuto come dessert”. 

A Miky piace sguazzare nel macabro.

Aristofane, invece ha un brivido. Ci guarda nuovamente con sospetto: “Ragazzi, non è che vi state mettendo in qualche guaio, vero?”

— “Ma no, Aristò… lei si è fatto troppo ansioso” dice Mikaral, con una punta di sottile malignità. Io so dove vuole andare a parare.

— “Forse” risponde Aristofane, colpito sul nervo scoperto “ma da quando mio figlio Ermes è diventato un Perdido mi preoccupo per tutti i ragazzi della sua età. Sciocco, vero?”

— “Non lo ha più rivisto?” chiedo con sollecitudine.

— “No Rose… sono mesi che gira nella metropoli come un fantasma senza sepoltura. Trovare qualcuno che non vuol farsi trovare in questa immensa palude di cemento, con una popolazione di decine di milioni di abitanti, è come scovare il classico ago nel pagliaio. Sono rassegnato, ormai”.

Un’atmosfera tetra e meditativa si è posata come un nero uccello su di noi.

Ed è perfettamente inutile che Miky dia segni di impazienza: è lui il responsabile.

Improvvisamente, Aristofane si allontana tornando con due grosse sacche.

— “Ecco quello che cercavate. E ora filate: sono davvero in ritardo. Il turno del mattino è chiuso da un’ora ed io sono ancora qui, alla base. E’ un miracolo che mi abbiate trovato. Se non corro dritto a casa… chi la sente quella strega di mia moglie…”

Rimasti soli, propongo a Miky di prendere l’aeromobile sotterranea. A quest’ora dobbiamo pagarla, ma siamo troppo carichi per salire su un mezzo di superficie. 

Con i nostri bidoni del veleno e le nostre due borse ci trasciniamo faticosamente alla prima stazione. Da lì, dritti a casa mia nel quartiere est. Dobbiamo cambiarci e poi… io ho un gato da nutrire. 

 

Non è mica uno scherzo.

Home sweet home.

 

 

 

 

 

 

 

 

Abito nella zona orientale della metropoli, al di là dello stretto, dove secondo le mappe antiche passava il vialone Ataturk. Al sesto di un caseggiato popolare di nove piani, nel quartiere delle “rose azzurre”.

L’appartamento è quello standard, fornito dal governo ai “celibi”: bagnetto, piccolo ingresso che si prolunga nel soggiorno e una camera.

Dalle mie parti, per fortuna, la sovrappopolazione non è il problema principale… la zona è relativamente tranquilla per Omphalos. Molti operai di primo livello e moltissimi funzionari omega vivono qui, non troppo stipati.

Sono contento di essere a casa perché i nostri carichi ci pesano, e ci imbarazzano per camminare. 

Appena varcato il portone di vetro del condominio vedo il solito cartello sull’ascensore: “Fuori servizio”.

Mikaral maledice urlando lo Spirito telematico ed io, temendo l’inevitabile, mi affretto a salire le scale. 

Troppo tardi.

La parete scorrevole della portineria si apre, ed esce furibonda Medusa: la grassa portinaia. 

— “Signor Rose… dica al suo amico di moderare il linguaggio. Non siamo mica in una Torre del porto qui. Questo è un condominio rispettabile.”

Mikaral le tira la lingua, e le fa le boccacce dietro la schiena.

— “Lo perdoni Medusa, siamo stanchi, affaticati, e questo guasto inopportuno all’ascensore ci è parso una beffa crudele.”

— “Ho provveduto a chiamare i tecnici del turno pomeridiano, Signor Rose” risponde lei con un tono risentito, come per dire ‘faccio il mio dovere, io’. 

Poi si volta di scatto, e Miky riesce a malapena a ricomporre la sua faccia deformata e buffonesca. 

Poi, con un’aria saputa: “Ma non avete l’obbligo di lasciare le vostre attrezzature al centro di derattizzazione?...

— “Non abbiamo fatto in tempo, baby” risponde Miky “abbiamo un’urgenza…”

Medusa finge che Mikaral non esista e, rivolta a me: “Signor Rose, lei sa benissimo che non desidero che si porti del veleno negli spazi condominiali pubblici. Lei nel suo appartamento può combinare tutte le porcherie che vuole (nei limiti della legge), ma la prossima volta faccia il piacere di lasciare il suo bidone sul luogo di lavoro”. Quindi sporgendosi e strizzando gli occhi, aggiunge: “ E che cosa avete in quelle enormi sacche?”

Mikaral non resiste più: “Abbiamo i cadaveri di 6 grassi topi, compagna lavoratrice. Ho trovato una ricetta dell’epoca barbarica, e pensiamo di cucinarceli per cena. Se desidera, ne avanziamo un po’ per lei”.

L’affermazione è tanto scandalosa e ripugnante (soprattutto il fatto di cibarsi di qualcosa che non sia sottoforma di pillola) che Medusa resta impietrita e muta sulla soglia della sua portineria.

Noi siamo già per le scale.

Arrivati sul pianerottolo del sesto piano, sento grattare da dietro la mia porta. 

Si odono degli uao uao soffocati.

— “Qui Rose” dico ad alta voce alla cellula di riconoscimento vocale.

La porta scorre lateralmente. Appena lo spazio è sufficiente, Infelix sguscia fuori con le orecchie appiattite.

— “UaaaoooUaaaooo” miagola isterico, e si precipita verso Mikaral che senza fiato (sono le sigarette!) sta salendo gli ultimi gradini.

— “Bloccalo Miky!” grido, allarmato. 

Ma Infelix gli passa letteralmente fra le gambe. Mikaral rischia di capitombolare giù per le scale, con tutto il suo bagaglio.

— “Bravo! Ottimi riflessi, eh?... E adesso dov’è?” gli chiedo innervosito.

— “Sul pianerottolo di sotto” risponde laconico.

Mi sporgo dalla ringhiera. In effetti Infelix è al quinto, e mi fissa con il suo gigantesco occhio arancione : “Uao?”

Miky commette l’errore fatale di andarlo a cercare. Così il gato scende di un altro piano, miagolando beffardo.

— “Mikaral, per Zeus! Non lo inseguire: tornerà su da solo. Vuoi rifarti tutte le scale a piedi??” grido esasperato.

Ma la nostra rumorosa scenetta ha già allertato i condomini.

Qualcuno apre una porta al terzo. Infelix sentendo dei rumori provenire da sotto si precipita come una saetta grigia verso l’alto, doppiando Miky che tenta vagamente di acchiapparlo. Io aspetto l’animale: facendo ostacolo con il corpo, in modo che non salga al settimo piano, riesco ad indirizzarlo come fosse una palla da biliardo verso la porta dell’appartamento.

Ci precipitiamo dentro e chiudiamo in tutta fretta. Abbiamo il fiatone.

Infelix ci è già addosso miagolando, a reclamare le sue pastiglie.

Miky, disteso a terra come me nell’ingresso, accarezza il gato e frugando nella sua tuta tira fuori un sacchetto di preziose pillole verdi K60 (le più dolci in commercio).

 

Osserviamo, sorridendo ebeti, il pasto della belva.

Un grattacielo di rogne.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

— “Ma cosa fate?” ci ha apostrofato Medusa quando siamo usciti con le tute da disinfestatori, mezz’ora dopo “Anche il turno di pomeriggio ? Voi due siete matti…”

Abbiamo attraversato la città in aeromobile e siamo arrivati nel quartiere del porto.

E’ il più popoloso e miserabile di tutta Omphalos. Ovviamente prende il nome dalle usanze antiche, trovandosi vicino al mar Aram. Ma non ci sono barche ad Omphalos. Ad eccezione del traghetto pubblico che, però, segue un rigido percorso e si spinge fino al limite dell’estensione urbana e alle spiagge chilometriche di Silivira, che si stanno già riempiendo. 

Alcune rarissime aeromobili acquatiche di privilegiati funzionari alfa e di potenti sacerdoti possono arrivare fino all’imbocco con il mar Egeo. Ma dopo: sono le colonne d’Ercole. Stesso discorso vale per il Mar Cupo. 

Non esiste vita al di là e neppure nel mare. Fanno eccezione alcune alghe rossicce e strane stelle marine di colore nero, che gli onfaloniani chiamano “ragni di mare” o anche “arbatax di mare”.

L’acqua non è più pericolosa per la salute come secoli fa, perciò fare il bagno è possibile con alcuni accorgimenti di prudenza.

Il quartiere del porto è una sorta di mare in sé: un oceano di folla. 

Qui abitano gli operai meno qualificati e le loro famiglie. Ci trovi i disperati, i Perdidos, i contrabbandieri di pillole, il mercato nero, i bar malfamati, le sale da gioco clandestine, i branchi organizzati di topi più evoluti (con il loro bizzarro linguaggio), forse anche dei barbari venuti da chissà dove. Qui, può capitarti di non comprendere esattamente cosa si dicano i curiosi personaggi che s’incrociano nelle viuzze stracolme d’umanità varia.

Si narrano storie inquietanti di pasti mostruosi a base di alghe e ragni di mare, di rapporti carnali consumati in certi bordelli sotterranei, di fumerie di pillole psichedeliche ed altre aberranti usanze. 

La polizia imperiale non ci mette piede, e chiunque deve guardarsi sia le spalle che le tasche. 

Però due disinfestatori non rischiano proprio nulla, e passano assolutamente inosservati.

Grattacieli spaventosamente alti proiettano la loro sinistra ombra violetta e grigia sulle baracche in riva al mare. Uno di questi, la Torre 46, è la nostra meta.

Via dei “bianchi amori” è piena di ragazzini che giocano a biglie con le pillole governative. Uno di loro ci guarda ed esclama: “Toh, fratelli (appellativo comune tra questi figli unici di Omphalos): ecco due brutti scarrafoni. “

Così vengono chiamati con disprezzo i disinfestatori di blatte.

Mikaral tira fuori la pistola spruzza veleno, e si avvicina minaccioso al gruppetto.

Io guardo la scena, esasperato. 

Possibile che Miky abbia sempre voglia di scherzare?

Ma i figli del porto, con le loro tuniche sporche, non si fanno certo impressionare. Nessuno si muove ma, invece, tutti ci guardano con ostilità perché abbiamo interrotto la loro partita.

— “Ritira subito quello che hai detto, moccioso” dice Mikaral rivolto allo spiritoso di prima.

— “Ao? Ma che vuoi?” gli risponde quello, reso aggressivo dalla paura “Se non te ne vai chiamo mio zio e ti spacca la faccia!”

— “Ah, sì? Come si chiama tuo zio?” dice Miky beffardo.

— “Atla… Atlante” risponde esitando il ragazzino.

A questo punto Miky fa più volte, a gran voce, il nome del fantomatico parente. Arriva persino ad urlare: “Presto, Atlante! Tuo nipote è in pericolo!”

Dato che nessuno si presenta, Mikaral si rivolge al gruppetto dei coetanei che, nel frattempo, si è alzato da terra.

— “Vuoi vedere che questo zio è un po’ cacasotto?” e si avvicina a loro brandendo la pistola del veleno.

I piccoli teppisti capiscono dal linguaggio e dall’attitudine che Mikaral è davvero pericoloso. C’è un fuggi - fuggi generale.

— “Hai finito il tuo patetico spettacolino?” dico irritato.

— “Beh, così ci pensano due volte prima di agitare la loro sporca linguaccia”

— “Bravo. Abbiamo proprio l’aria di due seri professionisti…” ironizzo.

Attraversato un miserabile giardinetto di Arbatax, arriviamo sgomitando all’ingresso della Torre 46.

Sugli scalini sono distesi due uomini, completamente nudi, gli occhi chiusi ed un sorriso estatico sulla faccia tutta grigia di polvere. Due perdidos.

Li scavalchiamo, un po’ cinicamente. 

Entriamo e pigliamo uno dei due ascensori.

E’ lentissimo e ci mettiamo un’eternità per arrivare al 37° piano.

— “Dunque, Kika 09.7.822… questo è l’indicativo" mormora Mikaral (La prima cifra rappresenta il sesso: 0 per le femmine, 1 per i maschi... seguito da giorno, mese e anno di nascita N.d.A.).

Suoniamo il campanello.

La cellula fotoelettrica a forma di antenna di lumaca (a Omphalos nessuno sa cosa sia una lumaca, ovviamente) si allunga e si protende verso di noi. Poi una voce sintetica ripete tre volte: “Non sono in casa, mi dispiace. Ripassate

Ci guardiamo, desolati. Non avevamo previsto questa banale eventualità.

— “Con la giornata che c’è: sarà sulla spiaggia a farsi abbronzare…” dico, tristemente.

— “Scendiamo” risponde Miky “inutile aspettare qui. Proveremo più tardi”.

Stanchi e scoraggiati, attraversiamo l’androne del palazzo. Vedo già le sagome dei due Perdidos sugli scalini esterni quando improvvisamente una figura sottile, varcata velocemente la porta a vetri dell’ingresso, si dirige verso di noi, per prendere l’ascensore.

Ci passa accanto.

Indossa una tunica estiva trasparente (ma voi ormai sapete che la nudità ad Omphalos non turba nessuno). Un bracciale di ottone e piccoli sandali che si allacciano alti sulla caviglia. Il suo giovane corpo minuto e perfetto non richiama la nostra attenzione. 

E’ il suo viso a farlo. 

Ha un caschetto di folti capelli nerissimi (cosa rara, visto che tutte le popolane si tingono di biondo, per somigliare alle notabili e alle mogli di alti funzionari). Gli occhi grandi e scuri emanano un fascino animalesco, mentre tutta l’espressione del viso testimonia un’intelligenza vivacissima.

Ci sorpassa, senza fortunatamente prestare la minima attenzione a due disinfestatori di blatte che si girano di scatto a guardarla, sconvolti.

Ci tratteniamo a stento, Miky ed io, dall’urlare all’unisono: “Kika!”

 

Non lo sapevamo allora, ma fu in quel preciso istante che iniziarono per noi i guai veramente seri.

Operazione: no pasaran.

 

 

 

 

 

 

Osserviamo trepidanti il quadrante luminoso dell’ascensore, che indica i piani percorsi… 34… 35… 36… 37… Fermo ! E’ lei !

Prendiamo senza esitare l’altro, disponibile al pianterreno.

Suonato il campanello si protende verso di noi la cellula ottica. Le sorridiamo gongolanti, come una coppia di imbecilli.

— “Chi è ?” grida la voce di Kika, da dietro la porta. Una voce stranamente grave per una ragazzina così giovane.

— “Non lo vede, siamo i dis…”

— “No, questo arbatax di aggeggio non funziona” dice Kika, aprendo la porta che scivola rumorosamente.

Quando ce la troviamo davanti, completamente nuda, siamo stregati dal suo sguardo. Ci fissa intensamente e pare che ci legga nei pensieri. Miky è già innamorato cotto. Lo vedo dalla sua espressione.

— “Finalmente !” esclama lei, sorridendoci “sono settimane che ho chiamato l’amministrazione e nessuno si presentava…”

Siamo sbalorditi.

— “Beh, che fate ? Non entrate ?”

— “Tu… tu ci aspettavi ?” riesce a dire Miky, con un filo di voce.

— “Ma certo ! Qui c’è un’invasione di topi super, super intelligenti. Il vicino del piano di sotto è stato aggredito ieri nell’ascensore. Sono pericolosi e sono grossi così !” Kika allarga le braccia, ad indicarne la dimensione: totalmente inverosimile. Poi, si blocca restando ferma come un manichino. Ci guarda le tute e l’attrezzatura.

— “Ma… voi non siete derattizzatori…”

— “Eh, no…” rispondo io “siamo solo disinfestatori… signorina…”

— “Ah” dice lei, delusa. La sua bella bocca ha una graziosa smorfia di disappunto.

— “Permettete ? Mi metto una tunica” aggiunge, voltandoci le spalle. Poi, infilandosi l’abito, continua con la sua voce grave: “Non è che io voglia mancarvi di rispetto, compagni lavoratori… però, non me ne frega un arbatax di quegli stupidi scarafaggi. Anzi, mi ci sono affezionata. Do pure loro delle pastiglie verdi e delle pillole di detersivo”.

— “Cosa ??” esclamiamo in coro Miky ed io.

La situazione ci sta sfuggendo di mano. Per fortuna Mikaral la rimette subito a posto.

— “Senti Kika, noi potremmo anche denunciarti per questo. Lo sai ?” Kika lo guarda, sbattendo gli occhi e sorridendo di sbieco “Nutrire degli scarafaggi è assolutamente vietato dalla legge…” La voce secca e marziale di Mikaral è un capolavoro di suggestione.

— “Uffa” dice lei, non troppo impressionata.

— “Per questa volta faremo un’eccezione. Ma che non si ripeta”

— “Okay, va bene.” protesta lei, con gli occhi al soffitto.

— “E adesso, dobbiamo ispezionare l’appartamento” conclude imperativo Miky, dirigendosi verso la porta chiusa della camera da letto.

Kika smette subito la sua aria infantile. Un’espressione dura si disegna sul suo volto. Quasi irriconoscibile gli dice: “Non puoi entrare in quella stanza, compagno disinfestatore. Te lo vieto.”

Mikaral esita: “Ma noi abbiamo l’ordine di…”

— “Non è vero. Nessuno può entrare in una stanza privata senza l’autorizzazione del proprietario di casa, o senza un documento ufficiale. Mostramelo!” replica Kika, con un furore selvaggio negli occhi.

— “Beh, non è necessario fare un’ispezione… “dico io, per trarre Miky d’impaccio “sappiamo benissimo da dove passano quelle bestiole”.

Miky prende la palla al balzo: “Un’ispezione è sempre raccomandabile… ma Kika ha ragione. E’ un suo diritto negarci l’accesso ad una stanza. Solo l’ingresso è obbligatoriamente aperto alla visita dei tecnici. Bene. Due posti ci interessano. Possiamo vedere il balcone del soggiorno e il cesso?”

— “Sì, andate pure” risponde Kika, raddolcita.

Apriamo la grande finestra. Tira un vento forte a questa altezza. Si vede quasi tutto il mar Aram. Peccato per due gigantesche torri ravvicinate che spezzano l’orizzonte. Fingiamo di confabulare di questioni tecniche. In realtà usiamo il gergo dei derattizzatori, ma Kika non lo capisce. Andiamo in bagno tutti indaffarati. Il nostro piano procede liscio come l’olio.

Mikaral rientra in soggiorno, e si dirige verso il pannello traforato della centralina informatica dell’appartamento, accanto alla porta d’ingresso. Inizia a svitarlo.

— “Che cosa stai facendo ?” chiede Kika, sospettosa.

Io le spiego che la centralina è posta in una cavità del muro. Che questa cavità è collegata a tutti gli appartamenti, fin giù nelle cantine per lasciar passare i fili. E’ il percorso e il nascondiglio ideale per le blatte. Mettendo del repellente ad ogni centralina si ricacciano le bestiacce nel loro inferno sotterraneo. Kika mi ascolta attentamente. Mikaral, lo sento, ha già iniziato a manipolare il sistema dei dati informatici. Ora devo prolungare la distrazione di Kika. Ci sediamo sul piccolo divano del soggiorno.

— “Che caldo insopportabile in questi appartamenti. Senza l’aria condizionata si morirebbe…” dico timidamente.

— “Funziona un giorno sì e uno no, questa arbatax di aria condizionata.” risponde lei “A proposito: non potete avvertire dei tecnici quando tornate alla base?”

— “No, signorina… sono professioni separate… deve chiamare lei l’Amministrazione”

Mi guarda come per dire ‘povero idiota, credi che non l’abbia già fatto?’, ma si limita a dire: “Non viene mai nessuno qui. Oppure mi mandano chi non voglio. Scusate, eh? Non ce l’ho con voi personalmente…”

— “Non si preoccupi. Capiamo. Ehm… non avrebbe una pillola rinfrescante da darmi? Sto letteralmente subendo una disidratazione rapida”

Lei mi sorride, divertita dal mio linguaggio. Si alza, e tira fuori dalla credenza un piccolo recipiente di vetro, colmo di pillole arancioni e gialle delle classi più diverse.

— “Che manna!” esclamo io. Poi dico ad alta voce: “Miky, vedessi cosa c’è qui !”

— “Non ho ancora finito, bello mio…” mi risponde, con la testa nella centralina. E’ un’espressione in codice che significa sono quasi a metà dell’opera.

— “Allora il biondino si chiama Miky ? E tu ?” dice Kika, con la ritrovata serenità un po’ infantile con cui ci aveva accolti.

— “Piacere, Rose…” dichiaro ingoiando un’arancione di classe indeterminata.

— Miky e Rose… che bella coppia siete. Sembrate tanto diversi. Lui il braccio e tu la mente, eh ?”

— “Caspita. Hai capito subito che dei due io sono l’intellettuale…” dico con finta immodestia, mentre Mikaral mi lancia uno: “Sbruffone”.

— “E’ facilissimo da capire: tu sei quello che chiacchiera e lui lavora”.

 Miky ride come un pazzo.

— “Ehm… e tu Kika… stai qui al porto o cosa ? Che mestiere fai ?”

Kika mi sorride quasi intimidita: “Sono a servizio da una vecchia baldracca piena di Imperiali” dice secca.

— “Mi piace questa ragazza” urla Mikaral, fingendo di mettere del repellente nei circuiti.

— “Non ti garba il lavoro ?” chiedo delicatamente.

— “Scherzi ? A chi piacerebbe andare al “quartiere paradiso” a vedere tutto quel lusso, quello spazio, quella tranquillità, quelle pillole introvabili, quei culi nella seta e poi tornare in questo posto…” Kika si guarda intorno disgustata, cercando la parola “…in questo posto di merda ?”

— “Beh, non hai tutti i torti… ma…”

— “Ma cosa ?” mi risponde con aria di sfida “Comunque mi sono licenziata una settimana fa. La padrona non l’ha presa bene, ovviamente. Però non può farci nulla.”

— “E cosa conti di fare ?” le chiedo seriamente preoccupato, dimentico di tutto ed anche della ragione per la quale siamo qui.

Lei alza le spalle: “Una soluzione si trova sempre”.

— “Ma il governo non offre un secondo lavoro, a meno che il licenziamento non sia avvenuto per gravi motivi da parte tua…”

— “Me ne frego del governo.” Risponde lei, misteriosa e fiera.

Io annuisco. Perplesso.

— “E tu Rose ? Sei contento di fare il disinfestatore ??”

Sto per risponderle automaticamente e sovrappensiero che sono derattizzatore ma, per fortuna, mi mordo la lingua e mi trattengo. Ho rischiato di mandare a monte tutto e di farmi fare una di quelle ramanzine da Mikaral…

— “Beh, non è male… anche se, certo, non mi ero formato per questo…”

— “Ah no ?” chiede Kika, fissandomi con i suoi profondissimi occhi scuri. 

— “Rose è laureato in “fossilità botanico animalesche” ci urla dal fondo del soggiorno Mikaral. Ed aggiunge, per aumentare la distrazione della ragazza, “sua madre era un funzionario scientifico alfa di primo livello”

Kika spalanca, se possibile, ancor di più gli occhi.

— “Il tuo amico sta scherzando ?”

— “No, è la verità”

Kika sorride radiosa. Poi, eccitata come una bambina, mi dice: “Ma io voglio sapere tutto… com’è che ti ritrovi a fare questo arbatax di mestiere ?”

— “E’ una lunga storia…” inizio io titubante.

— “Ma ve la racconterete un’altra volta” interviene Miky “perché le blatte no pasaran” E’ l’espressione in codice che significa: operazione eseguita perfettamente.

Kika ha l’aria triste: “Però potete trattenervi un attimo, no ?”

— “Certam…” sto per dire, ma Miky interviene brusco.

— “Ci dispiace Kika, abbiamo un sacco di lavoro da fare. Dai, spicciati Rose”.

— “Beh, è stato un piacere lo stesso.” dice Kika malinconica, accendendosi una sigaretta.

— “Questo è il mio codice, casomai… ci si volesse incontrare…” dico goffamente a Kika.

— "Grazie, Rose... 118.11.800... d'accordo" mi risponde con un sorriso nello sguardo. Mikaral invece mi lancia un’occhiata furibonda. 
Capisco troppo tardi che è stato un errore. 

 

Nell’ascensore mi aspetta una bella ramanzina.
Tutta in discesa.

Portuali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

— “Ti è evaporato il cervello, Rose ?” mi rimprovera Miky nell’ascensore, pigiando il bottone “dare il tuo indicativo ad un’infiltrata…”

— “Mah, questo è tutto da dimostrare…”dico per giustificarmi.

— “Hai visto come ha reagito quando mi sono avvicinato a quella porta chiusa ?? Hai sentito come parlava della moglie del funzionario beta ? Togliti i cespugli di arbatax dalla faccia, Rose”

— “Mi pareva che la trovassi simpatica” dico, pentendomene immediatamente dopo.

— “Certo che è simpatica. E mi piace anche. Ma non è un buon motivo per dimenticare chi sia che cosa possa fare. Tu, piuttosto… è la seconda volta che perdi la testa per un femmina, oggi”.

Non so cosa rispondere. Sono un po’ imbarazzato. Mi guardo i grossi sandali, tutti impolverati. Mikaral mi mette una mano sulla spalla.

— “Però… ho fatto un capolavoro” dice.

— “Davvero ?”

— “Sì, rubare il codice di apertura della porta è stato uno scherzo. C’è voluto un attimo.”

— “Ma che hai fatto in tutto quel tempo, allora ?” gli chiedo incuriosito.

— “Ho aspettato che voi due vi guardaste bene negli occhi, poi… le ho infilato una pulce elettronica nella borsetta. Così possiamo sapere esattamente quando lascia l’appartamento e se va lontano…”

— “Miky, sei un genio!” 

— “Lo so” risponde lui “e tu non combineresti nulla senza di me”.

Devo ammettere a me stesso che ha ragione.

Uscendo dalla Torre 46, noto che i due Perdidos sono spariti. Gli effetti del loro orgasmo passati, devono già essere alla ricerca della prossima pastiglia grigia. Poveracci.

— “Che ore sono, Miky ?”

— “Quasi le quattro…” dice lui, osservando il fiume di gente che scorre lento sullo stradone.

— “Che facciamo ? Ho visto un bar, dopo il giardinetto di arbatax, in direzione della fermata dell’aeromobile…”

— “Ottima idea” mi risponde lui “aspetteremo lì con tutta calma, prendendoci una bella pastiglia arancione…”

Imbocchiamo baldanzosi il vialetto del parco. 

Improvvisamente, un tizio enorme ci sbarra la strada. Sarà alto più di due metri, l’aria truce e le spalle così larghe che potrebbe sostenere il mondo intero. Ci rendiamo subito conto che ci fissa ostile. Da dietro la sua schiena spunta un ragazzino che, per contrasto, appare poco più grande di una pulce.

— “Sono loro, zio…” gli sentiamo dire rivolto al colosso.

Guardo Mikaral con un’espressione che significa: ‘Complimenti, amico mio’.

Il gigante ci parla con una vocina da castrato che ci farebbe scoppiare a ridere, se la situazione, e soprattutto il contenuto del messaggio, non fossero così minacciosi: “Adesso, io prendo uno di voi a caso e lo annodo come un palloncino. Poi lo sbatto sul selciato e, quando è ridotto ad un tronco sanguinolento, lo lancio in pasto ai siluri ! L’altro può anche scappare… tanto non uscirà vivo dal Porto. Io sono Atlante: il capo quartiere.”

— “I siluri ??” dico stupefatto.

— “Certo, i pesci del porto…”

— “Hai sentito Miky” esclamo con entusiasmo scientifico “sono ritornati i pesci, e noi non lo sapevamo…”

— “Hei, magrolino” dice Atlante, rivolto a me “non mi prendere per il culo…”

— “Niente affatto, compagno lavoratore…” inizio a dire.

— “Tu sei quello che annodo. Sarai il primo a morire” mi avverte gentilmente il gigante, e fa un passo verso di me.

Mikaral interviene, provvidenziale.

— “Ascolta Atlante… noi due siamo segretamente in missione speciale per conto…” mi viene spontaneo completare la frase con ‘per conto di Dio’ poi, non so perché, mi appare l’immagine curiosa di due tizi vestiti in giacca e cravatta (un abito dei tempi barbarici), con gli occhiali neri. Uno è alto e snello mentre l’altro è basso e tarchiato. Si hanno strani pensieri delle vite passate, quando si sta per finire la propria. 

Mikaral, nel frattempo, continua il suo discorso: “…dell’Amministrazione…”.

— “Me ne sbatto dell’Amministrazione” replica Atlante.

— “Ma, vedi, caro compagno… noi abbiamo notevoli mezzi finanziari… e… che ne diresti se ti pagassimo profumatamente per condurre a buon fine la nostra missione?”

— “Dipende da quanto” risponde Atlante, con un sorriso infantile e dolce.

— “Diciamo 500 dinari ?”

Ho un sussulto.

Atlante ci fissa, per la prima volta gli interessiamo vivi: “Per 500 dinari avete la vita salva e la mia protezione. Io sono capo quartiere, e se lo decido io… qui nessuno vi può torcere un capello. A vostro servizio, Eminenze”

— “Tira fuori il mezzo impero, Rose…” mi sussurra Miky, tra i denti.

— “Cosa ? Sei fuori !” gli dico d’impulso.

— “Ascolta Rose, la nostra pellaccia vale un po’ più di una moneta d’argento. Anche di una fior di conio. Lo capisci questo, o è troppo complicato per te ??” sbotta calmo e secco Mikaral.

Con la morte nel cuore, consegno il mezzo imperiale regalatomi da Atena ad Atlante. Sono furioso contro Miky

Nella sua gigantesca mano, la grossa moneta ha una proporzione quasi normale. Lui ci sorride. Anche il nipote sembra contento.

— “Dove devono andare le Vostre Eminenze ?”

Miky indica il bar verso il quale eravamo diretti.

— “No, se andate là siete pasto per i siluri questa notte…” risponde Atlante.

— “Ancora ?” dico io, esasperato.

Il colosso ci indica un altro locale, un po’ più lontano. Via della strozza. Lì saremo al sicuro, ci dice. Lui ci seguirà sempre da lontano, avvertendo i tipi pericolosi del quartiere che siamo sotto la sua protezione. Possiamo stare tranquilli. Siamo in una botte di ferro. Ci separiamo con mutui ringraziamenti. 

Rimasto solo con Mikaral, lo aggredisco.

— “Bravo coglione. Le tue sbruffonate mi sono costate un mezzo imperiale…”

— “Rose, ma non hai capito che non saremmo mai usciti illesi da questo posto, in nessun caso. Noi non siamo del quartiere, e tu non ti sei accorto che eravamo sempre osservati con sospetto mentre andavamo da Kika. Forse ci seguivano, addirittura. Ora invece ci possiamo muovere in assoluta sicurezza. Possiamo frugare in casa dell’infiltrata, e se non troviamo la chiavetta possiamo sempre ricattarla con qualcos’altro. Atena ci pagherà in monete d’oro… altro che argento.”

Il ragionamento di Mikaral non fa una piega. La mia rabbia svanisce come neve al sole. 

 

Ha davvero ragione: cosa farei senza di lui ?

Il "ragno di mare".

 

 

 

 

 

Ho visto raramente un posto tanto squallido quanto il bar “Il ragno di mare”, in via della strozza.

Il luogo è cupo, pieno di fumo e con delle orribili stelle marine appese alle pareti. Una specie di affresco verdastro sul muro di fondo dovrebbe rappresentare una vista del porto. Così deve vederlo un Perdido all’ultimo stadio.

Appena entrati, un nutrito gruppo di vecchi giocatori di carte ci lancia uno sguardo cattivo. Il barista, dietro al bancone, con una faccia patibolare, fa semplicemente finta di non vederci. Al tavolino di destra, vicino al nostro, due loschi individui ci scrutano come se volessero guardarci nelle tasche delle tute. Tanto ormai siamo poveri in canna (penso io). A sinistra una tipa completamente ubriaca, con il rossetto mal messo sulla bocca sdentata, ci insulta continuamente a voce bassa.

C’è una tensione che si può quasi toccare con mano. Giureresti che da un momento all’altro saremo aggrediti da qualche brutto ceffo, spuntato da chi sa dove. Ma, quando a sua volta, fa il suo ingresso il gigantesco Atlante sorridendoci… tutto cambia. Come per magia, l’atmosfera del locale si rilassa. Siamo circondati da un’improvvisa ondata di benevolenza. I due tipi a destra distolgono immediatamente lo sguardo da noi, mentre l’ubriacona ci fa dei piccoli sorrisi sinistri. Al tavolo dei giocatori ricominciano gli schiamazzi che erano improvvisamente cessati al nostro arrivo. Il padrone del locale si precipita al nostro tavolo, pieno di sollecitudine.

— “Le Eminenze Vostre desiderano? Posso offrire l’aperitivo alle Loro Eminenze? Me lo permettono? E’ un onore  ricevere la vostra visita…”

— “Vada per l’aperitivo del posto…” dice Mikaral, gongolante.

Ci arrivano due pastiglie arancioni K1 ! Per fortuna sono minuscole… però le guardiamo un po’ preoccupati.

— “Che bei hic ! raga… ga… zi… disinfesciazio…. disinfestiazioni, eh ?” blatera la nostra vicina.

— “Sì, compagna,” risponde Miky “alla tua salute”, e ingoia la K1. Faccio lo stesso.

— “Beeeh… sci dovete hic ! fare l’aten… l’atenscione… perché ci sciono piene di blate sul mio tavolino, hic !”

Noi guardiamo dove lei ci indica. Non c’è proprio l’ombra di uno scarafaggio. Ha le traveggole, evidentemente. Cominciamo a sentirci un po’ allegri. Ridacchiamo per tutto e per nulla. Ci facciamo una risata sonora quando Miky mi ricorda l’uso che fa Kika del termine arbatax… mettendolo ovunque, al posto di… ah ah ah !

— “Wow, che giornata Rose ! Era da un pezzo che non mi divertivo così…”

— “E non è mica finita” rispondo io.

Scoppiamo in un’altra fragorosa risata. 

L’ubriacona grida tutta eccitata anche lei. Il padrone del bar ci guarda come se fossimo i suoi parenti più stretti. 

Atlante è già uscito da un pezzo. Probabilmente si è messo ad aspettarci ad uno dei due tavolini là fuori, ad osservare la folla passare e la bella luce del pomeriggio declinare insensibilmente.

All’improvviso, la tavoletta telematica di Mikaral si accende, mandando una serie di bip!

— “E’ uscita! Kika si allontana dalla Torre…” mi dice con gli occhi lucidi e la sigaretta in bocca. Il piccolo suono intermittente continua. L’ubriaca si guarda in giro come se avesse sentito il ronzio di un moscone (animale estinto da un pezzo, peraltro).

Poi i bip cessano. Miky mi prende per il braccio.

— “Presto” dice “è fuori dal campo di ricezione: dunque abbastanza lontana. Non perdiamo tempo”.

Lo seguo a stento, e di malavoglia. Ma dobbiamo riguadagnarci quello che abbiamo perso. Abbiamo una missione da compiere.

Usciamo traballanti ma di corsa dal bar. Nessuno fa caso a noi. Il padrone ci grida dietro una formula di cortesia. 

Atlante ci segue per un attimo con lo sguardo. 

 

Poi, lentamente, con estrema calma, si alza e ci viene dietro.

Eccoci nuovamente...

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci nuovamente, come in uno di quei sogni ossessivi, nell’ascensore della Torre 46… e poi sul pianerottolo, davanti alla porta di Kika.

Miky digita con sicurezza un numero di 7 cifre che ha letto sulla sua tavoletta telematica. Io lo osservo con il batticuore e le gambe molli.

La porta scorre, lentamente.

Ci guardiamo trionfanti, e ci facciamo l’occhiolino.

La prima cosa che notiamo entrando, è la porta della camera da letto spalancata. Kika ci aveva vietato l’ingresso e quindi, naturalmente, ci precipitiamo lì dentro, senza prestare la minima attenzione al bagno.

Anche quello infatti è aperto… nell’oscurità della piccola stanza un gigantesco occhio rosso ci osserva, minaccioso.

Mikaral annusa l’aria, inquieto.

— "Rose, non trovi che qui dentro ci sia uno strano odore ?”

— “Hai ragione, Miky. Come di…” non trovo le parole “…qualcosa di vivo, ma non di umano…”

Con lo sguardo perlustriamo il locale. A tutta prima non c’è nulla di anomalo. Un armadio, il letto, un comodino (su cui ci sono due pastiglie di candida neve che sembrano di qualità eccelsa), un tavolo, un vaso con una rosa azzurra, due sedie, un quadretto della città… ma ai piedi del letto, dalla parte opposta, vicino alla finestra, qualcosa attira l’attenzione di Mikaral, che si è mosso per curiosare meglio.

— “Hei, Rose… vieni un po’ a vedere…”

Lo raggiungo e noto due grandi scodelle di alluminio. 

Una è stracolma di pillole gialle, mentre nell’altra c’è la mezza testa enorme e mangiucchiata di un pesce siluro. 

Ci guardiamo esterrefatti.

Io mi metto ad esaminare l’interessantissimo rimasuglio. 

Il pesce è parecchio brutto. Ha non poche affinità con l’estinto barracuda. Probabilmente si nutre di topi o di immondizia, buttata nelle acque poco profonde del porto. 

Anzi, vista la pessima fama del quartiere… non è escluso che si nutra anche di resti umani ! 

Non possiede occhi, la gigantesca bocca è tubolare, come un aspiratore d’acqua, e i denti si trovano in fila serratissima in fondo alla gola. Un vero tritacarne è nascosto laggiù. Dalla dimensione della testa ricavo più o meno la lunghezza del pesce: dal metro al metro e mezzo.

Rifletto ammirato alla forza e all’ostinazione della vita. 

Un organismo simile ha subito un’evoluzione rapidissima nel corso di pochi secoli. Mi domando quale fosse il pesce di partenza, l’animale dal quale si è evoluto un simile mostro marino. 

E’ sopravvissuto all’inquinamento e alle radiazioni. Forse sono state proprio queste ultime ad accelerare in modo così spettacolare l’evoluzione di questo “ratto di mare” (così l’ho soprannominato io)…

La voce di Mikaral mi distoglie dai miei pensieri.

— “Ma perché Kika nasconde nella sua camera da letto un simile orrore ??” mi dice lui, scuotendo la testa.

Gli vorrei rispondere che c’è una sola spiegazione. Ma mi pare inverosimile.

In quel momento il soggiorno è attraversato velocemente da un suono argentino di campanellini. Né io né Miky ci facciamo caso, tutti presi come siamo dal mistero intrigante del pesce.

All’improvviso, proprio dietro le nostre schiene, all’altezza della porta d’ingresso della camera, sentiamo distintamente un suono incredibile.

In una frazione di secondo lo riconosco: è un ringhio, atroce !

Mikaral si volta di scatto e, io che non lo avevo mai visto neppure spaventato, per la prima volta nella mia vita, distinguo nei suoi occhi addirittura un’espressione di terrore. 

Mi giro lentamente.

Ciò che mi trasmettono gli occhi è tanto inverosimile che devo fare uno sforzo per ammettere che sia reale.

— “Alzati molto lentamente… e parla a bassa voce…” dico, sudando freddo.

— “Che… che cos’è quello, Rose ??” riesce a sussurrare tremando il povero Mikaral.

— “Una macchina per uccidere, Miky... perfetta” rispondo, assolutamente calmo.